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Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio. Federico Fellini

WALL•E



Wall-E è da oltre 700 anni l'unico abitante del pianeta Terra. Totalmente dimenticato dagli umani in un mondo sepolto dai rifiuti, il robot conduce da ormai troppo tempo una vita solitaria nel più totale silenzio. Raccogliendo tra i rifiuti i resti di una civiltà ormai molto lontana, svolge quotidianamente il suo lavoro: la sua "direttiva" infatti è quella di raccogliere e pressare i rifiuti.
Wall-E gode della compagnia di un piccolo scarafaggio e della videocassetta di "Hello Dolly" di Gene Kelly, unico vhs riuscito a recuperare tra le montagne di rifiuti."Hello Dolly" costituisce l'unica cosa che abbia un valore per il piccolo robot; proprio grazie a questo nastro sopravvissuto nel tempo scopre i sentimenti umani, anche attraverso semplici gesti come tenersi per mano.
La vita di Wall-E cambierà per sempre quando dal cielo piomberà Eve, un robot sonda, elegante e di tecnologia molto avanzata, mandata sulla terra dagli umani in cerca di vita organica. Durante il suo cammino, Eve incontrerà Wall-E ed il suo scarafaggio, e presto si renderà conto che colui che ha trovato ha più importanza di quanta ne avesse la sua direttiva. Per Wall-E è un colpo di fulmine, e l'amore nei confronti di Eve lo trascinerà nella galassia, tra gli umani emigrati da 700 anni, in una stazione spaziale orbitante. Qui proprio Wall-E porterà la chiave di salvezza del genere umano, l'elemento fondamentale per riportare la vita e gli umani stessi sulla Terra, in un'avventura cosmica capace di far toccare con mano il concetto astratto dell'amore.
La prima parte del film, quasi totalmente muta, fatta eccezione per la musica e i rumori che il robot-spazzino emette mentre lavora, è da antologia. Il piccolo Wall-E viene introdotto con maestria riuscendo a far immedesimare lo spettatore in questo personaggio, che sfiora la perfezione. Ma pur essendo pochi i suoni, che raramente hanno un significato, la storia è comunque chiara anche per il pubblico più giovane, che apprezzerà sicuramente le sequenze comiche ma non avrà problemi a seguire lo sviluppo drammatico del film. Riesce sempre a stupire, la Pixar. Ormai non più solo per la qualità tecnica dei suoi cartoni animati realizzati al computer, ma anche per il coraggio espresso in fase di sperimentazione narrativa. Utilizzando anche alcune sequenze in "live action" come già avevano fatto i creatori di "Happy Feet", con il quale ha peraltro in comune il tema di fondo, "WALL•E" è un cartone animato che funziona perfettamente sia agli occhi dei bambini sia a quello degli adulti, che ameranno momenti diversi ma apprezzeranno entrambi il film nel suo insieme. Ricco di omaggi (il più evidente è il riferimento al 2001 di Kubrick) e citazioni, sa divertire e commuovere anche se forse non riesce a far pensare come vorrebbe.
Il film è scritto con buon ritmo e qualche colpo di genio, e com'è ormai naturale aspettarsi dalla Pixar è realizzato in maniera tecnicamente eccellente. Gli effetti vocali del robot creati da Ben Burtt collaborano a creare una vera e propria sinfonia interstellare di grande impatto, sicuramente capace di spezzare qualche cuore.
È strano pensare che una delle favole più belle mai raccontate nella storia del cinema sia un cartone digitale firmato Pixar, che grazie alla sua infinita capacità di sorprendere ha dato vita ad uno dei personaggi più dolci ed "umani" che si siano mai visti sul grande schermo. Anche se la meravigliosa storia di "Finding Nemo" ed il simpatico "Ratatouille" sono ormai considerati capolavori del genere, "Wall-E" è un prodotto senza precedenti, e segnerà il genere stesso per sempre; direi quindi che da questo momento in poi ogni prodotto digitale verrà inesorabilmente messo a confronto con questa pura poesia del Cinema. Stupendo.

Voto:9,5

Into The Wild



Il film racconta la storia vera di Christopher McCandless, un giovane benestante che, subito dopo la laurea in scienze sociali all'Università di Emory nel 1990, dona i suoi risparmi all'Oxfam e abbandona amici e famiglia per sfuggire ad una società consumista e capitalista in cui non riesce più a vivere. La sua inquietudine, in parte dovuta al pessimo rapporto con la famiglia e in parte alle letture di autori anticonformisti come Thoreau e Jack London, lo porta a viaggiare per due anni negli Stati Uniti e nel Messico del nord, con lo pseudonimo Alexander Supertramp.
Durante il suo lungo viaggio verso l'Alaska incontrerà sulla sua strada diversi personaggi: una coppia hippie, un giovane trebbiatore del South Dakota, una giovane cantautrice hippie ed un anziano veterano chiuso nei suoi ricordi, a cui cambierà la vita con il suo messaggio di libertà e amore fraterno e dai quali riceverà la formazione necessaria per affrontare le immense terre dell'Alaska. Qui trova la natura selvaggia ed incontaminata che, con il passare del tempo, gli fa comprendere che la felicità non è nelle cose materiali che circondano l'uomo o nelle esperienze intese come eventi indipendenti e fini a sé stessi, ma nella piena condivisione e nell'incontro incondizionato con l'altro.
A conferma di questo Christopher, poco tempo prima di morire, scriverà su uno dei libri che era solito leggere "Happiness is real only when shared": la felicità è autentica solo se condivisa. Morirà, infine, nel 1992 di stenti o di freddo proprio in Alaska: le cause della morte sono tutt'ora incerte, ma è probabile che essa sia dovuta ad un'intossicazione alimentare, come mostrato nel film. Prima di morire troverà nel suo cuore il perdono per i suoi genitori e riconoscerà la sua vera identità, dopo aver toccato con mano la libertà più estrema.
Pensavo che mai un film sarebbe riuscito a darmi quell' incredibile emozione, quell'intenso e fantastico brivido che cercavo, o meglio, aspettavo, da quando ho cominciato ad appassionarmi all'arte del cinema. Chi se ne intende può facilmente capire cosa voglio dire. Eppure dopo aver visto "Into the Wild", posso finalmente dire di aver provato questa sensazione.
Già.. e a chi non verrebbe voglia di lasciare tutto come Chris e incamminarsi girando il mondo senza meta, solo per il puro piacere di sentirsi libero, libero (dice Chris) da una società sempre più avvelenata, volta solo verso il cosumismo sfrenato. Libertà estrema.
Chris va alla ricerca di un'utopica felicità attraverso il contatto con la natura estrema, la natura selvaggia, e 'Alaska, Alaska, Alaska” è una sorta di formula magica ripetuta incessantemente lungo tutto il corso del film.
Eppure qualcosa manca, c'è la consapevolezza di una propria finitezza rispetto alla grandiosità mistica di una natura che, ultimamente, non è compagna. Nonostante il piacere iniziale e la gioia di una libertà senza limiti, una nota stonata, non bene definita, compare a ogni passo durante i quattro lunghi mesi di Chris in mezzo alle nevi dell'Alaska; nota che si delinea via via nei flashback, con una leggerezza di tocco davvero sorprendente. E' il lento riconoscimento di Chris dell'impossibilità di darsi la felicità da solo, la tremenda consapevolezza che tutta la libertà di cui può godere nell'immensa solitudine dell'incontaminato non regge il confronto con la concreta verità di un rapporto umano. Sia esso il rapporto con la sorella, con un improvvisato datore di lavoro, con una coppia di antesignani hippy, o con un padre che ha sempre desiderato ma che non ha mai veramente avuto: "Happiness only real when shared"(La felicità è reale solo quando condivisa) arriverà a scrivere, quasi come un epitaffio, sul suo sgangherato furgone.
Il tema della fuga, centrale nella pellicola di Penn, si fonde e si completa con quello della ricerca, che si risolve in un finale duro e per nulla banale. Il regista costruisce due ore e mezzo di storia appassionante, con uno stile davvero molto originale e attraverso una sceneggiatura che procede lenta ma potente, riuscendo ad affascinare e coinvolgere nonostante l'assenza un particolare dinamismo sulla scena.
Into the Wild è un film solido e maestoso, le cui piccole ma trascurabili pecche risultano soverchiate da un'altissima qualità tecnica e artistica. Sfido chiunque a non sorridere dopo aver visto la fine.
Un film che rimarrà per sempre nel cuore. Fantastico.

Consigliato: da non perdere assolutametne
Voto: 9

Saw V

Titolo originale: Saw V
Lingua originale: Inglese
Paese: USA
Anno: 2008
Durata: 94'
Colore: colore
Genere: Horror/Thriller
Regia: David Hackl
Soggetto: Patrick Melton, Marcus Dunstan
Sceneggiatura: Patrick Melton, Marcus Dunstan
Produttore: Mark Burg, Oren Koules
Produttore esecutivo: Jason Constantine, Daniel J. Heffner, James Wan, Leigh Whannell
Casa di produzione: Twisted Pictures
Distribuzione (Italia): 01 Distribution
Cast:Tobin Bell, Scott Patterson, Julie Benz, Costas Mandylor, Betsy Russell, Mark Rolston


Salvatosi miracolosamente dalla casa-trabocchetto di Jigsaw, l'agente speciale Strahm viene ripreso dal suo superiore che gli toglie il caso. Mentre le forze dell'ordine annunciano la morte del celebre serial killer, Strahm inizia a sospettare del tenente Hoffman, l'"eroe" che ha tratto in salvo una bambina dal bunker degli orrori. Indagando sul poliziotto scoprirà che non solo ha tentato di ucciderlo, ma che un'altra trappola mortale innescata in passato porta la sua firma.Per ogni Enigmista che se ne va ce n'è uno pronto a prendere il suo posto. Se in Saw II entrava in scena Amanda, fedele servitrice di Jigsaw spinta all'azione dalla gratitudine per essere stata liberata dalla tossicodipendenza, nella quinta puntata della saga dell'orrore si scopre che un poliziotto è uno stretto collaboratore dell'efferato omicida seriale. Esattamente nella stessa maniera in cui una soap opera tira fuori dal cilindro nuovi personaggi le cui vite sono intrecciate a quelle dei protagonisti, così in Saw nuovi "corpi di scena" prendono il posto dei vecchi continuando ad alimentare la figura dell'Enigmista con intrecci più o meno plausibili. Grazie a un continuo (e spesso confuso) uso del flashback - che non manca di ripercorrere le quattro puntate precedenti - viene ricostruita la storia dello spietato assassino (ormai senza vita) che si scopre avere un passato, una moglie devota e persino una coscienza. Che Jigsaw preparasse delle trappole mortali per far riconsiderare la propria esistenza alle vittime e dare loro una chance era noto, ma che potesse dare delle lezioni di morale risulta grottesco. I primi due episodi della saga, che a oggi rimangono i migliori, erano caratterizzati da un'inattesa svolta finale che riusciva a far tornare i conti. Quello che invece manca a Saw V è proprio l'effetto sorpresa, la credibilità della narrazione e la capacità di spaventare lo spettatore che ormai si è fatto ancora più scaltro dello stesso Jigsaw. Chiudendosi con un classico cliffhanger da fiction e soap, l'episodio numero cinque lascia presumibilmente al sei il compito di fare chiarezza su una trama a singhiozzo con profonde lacune di scrittura.
Si dimostra decisamente confuso e desolante questo quinto episodio di una serie che ha forse un po' stancato e che dovrebbe (almeno si spera) quasi essere giunta al termine. Questa volta è David Hackl l'incaricato alla regia, che ci presenta un film che sembra allontanarsi parzialmente dalla violenza che caratterizzava gli altri, per aprirsi cercando di offrire allo spettatore un quadro più esteso delle vicende. Si tenta quindi di mettere ordine al caos che si è venuto a creare, con una sola conseguenza: un disastro.
A partire da quei numerosissimi flashback che di solito occuperebbero al massimo 10 minuti di film, fino al sadico meccanismo da reality show privo di tensione, dove oltretutto manca completamente la motivazione.
Inoltre, l’effetto sorpresa del primo è svanito da tempo e con esso anche il suo ricordo. “Saw V” non sembra altro che la ripetizione spasmodica di sofferenze e atrocità.
Per concludere, se “Saw I” è passato alla storia nel 2004 come capolavoro geniale, dopo gli altri tre, il quinto ne risulta indebolito notevolmente.


Voto: 4

The Orphanage (L’orfanotrofio)

“The orphanage”, prodotto dal regista messicano Guillermo del Toro (“La spina del diavolo”, “Hellboy”, “Il labirinto del fauno”) fa parte di quella schiera di film come “The others” di Alejandro Amenabar ed “Il senso senso” di M. Night Shyamalan, che dovrebbero essere classificati in un nuovo genere cinematografico, diverso dai classici horror e thriller. Ghost story con profonde venature drammatiche, thriller paranormale che non vuole spaventare con spargimenti di sangue, “The orphanage” si ambienta in un’antica dimora dalle atmosfere gotiche che nasconde molti segreti, simile all’Overlook Hotel del kubrickiano “Shining”. Interpretato da una stupenda Belen Rueda (Laura), perfetta spina dorsale del film, e dal bravissimo Roger Princep (il figlio Simon), rappresenta un ottimo esordio per il regista spagnolo Juan Antonio Bayona, capace di gestire con maestria la mdp in una location elegante ed austera. Belen Rueda, attrice poco conosciuta nel nostro paese è stata capace di offrire una prestazione di altissimo livello. Laura è una donna che da ragazzina, dopo una vita tutto sommato felice in un orfanotrofio, viene adottata e sente il bisogno di ricambiare questo atto d’amore non soltanto adottando Simon, un bambino con problemi di salute, ma riaprendo l’orfanotrofio dove trascorse la sua infanzia, per donare cure ed amore ad un gruppo di ragazzini disabili. L’attrice spagnola riesce a sostenere l’intera pellicola, raggiungendo l’apice della sua magistrale interpretazione nella seconda parte del film quando è praticamente sola in scena per oltre mezz’ora di film, senza perdere ritmo né annoiare lo spettatore, offrendo una prova di forte intensità emotiva ed espressiva.Fanno da sfondo dell’antico orfanotrofio lunghe spiagge deserte, grotte oscure, un vecchio faro a picco sul mare in tempesta, luoghi perfetti per una storia di fantasmi illustrati egregiamente dalla fotografia oscura di Oscar Faura. “The orphanage” è un racconto ben strutturato, profondo ed inquietante, con diversi colpi di scena ed un finale stupendo. Merito dunque dello sceneggiatore Sergio G. Sanchez che riesce a equilibrare con intelligenza thriller e dramma.Vincitore in Spagna di ben sette premi Goya, “The orphanage” pur non offrendo nulla di particolarmente nuovo (evidenti sono le influenze dai film sopra citati), è una splendida storia di fantasmi con alcuni momenti di pura tensione e di dolore che entra con merito nella nuova ondata di cinema thriller/horror europeo di qualità. Davvero un gran bel film, che secondo la mia opinione avrebbe meritato più pubblicità di altre pellicole di questo periodo che si sono poi rivelate di scarsa qualità.

Consigliato: si
Voto: 7,5

Awake - Anestesia Cosciente

Doveva essere un thriller a metà tra lo psicologico e il metafisico e per certi versi lo è, anche se la suspense ha inizio a mezzora dall'inizio del film, ovvero quando il protagonista si trova in uno stato di limbo cosciente e inizia a mettere insieme i pezzi del puzzle. Attraverso i flashback che Clayton rivive nel tentativo di ricongiungersi, almeno con il pensiero, a Sam, lo spettatore scopre come si sono conosciuti e come tra i due sia scoccato l'amore. Man mano che il “viaggio” di Clay prosegue, la trama si infittisce e regala uno, due, tre colpi di scena in sequenza e un finale alquanto telefonato. E’ un vero peccato che da un idea di base tutto sommato interessante si sia ricavato un film così pieno di imperfezioni e assurdità. Esse si cominciano già a intravedere dalla frase di lancio del film che cita testualmente: “Ogni anno 21 milioni di persone sono messe sotto anestesia. 1 su 700 rimane sveglio”. Questa strana statistica che ha l’unico scopo di impressionare il pubblico e di trascinarlo al cinema sembra in questo caso quasi “criminale”. Infatti facendo due calcoli, ogni anno dovrebbero verificarsi circa 30000 casi di quella che nel film viene definita come “Anestesia Cosciente”, il che è decisamente improbabile. Ma pur ammettendo questo stato di anestesia cosciente così come descritto nel film, non si comprende come sia possibile che i pensieri di Clay possano condurlo in giro per l’ospedale come uno spirito distaccatosi dal proprio corpo, e se si guarda inoltre con un po’ di attenzione la trama, si comprende come gli eventi non risentano assolutamente di tale fatto, dato che se Clay fosse rimasto tranquillamente addormentato tutto sarebbe potuto proseguire allo stesso modo. Molto strano poi come l’anestesista arrivi in ritardo in sala operatoria e, per giunta, nasconde in tasca la tipica boccettina da alcolista. Non contento del suo comportamento per nulla professionale, si allontana dalla sala operatoria durante l’attività dei chirurghi, cosa inconcepibile durante una reale operazione chirurgica, visto che le sale operatorie non sono salotti dove chiunque può entrare ed uscire liberamente e senza alcuna sterilizzazione partecipare all’operazione. Per attirare un po’ di pubblico, i geni del casting hanno puntato su una coppia di attori ammirati principalmente per il loro aspetto fisico: Hayden Christensen e Jessica Alba, coppia che peraltro ha già ricevuto una candidatura ai Razzie Awards, gli “Oscar dei peggiori". Peccato infine per il neo-regista Joby Harold, che non ha certo fatto un figurone con questo film.
“Awake - Anestesia cosciente” risulta dunque essere un thriller con scarsa tensione, una sceneggiatura traballante e mal sviluppata, pur partendo da un’idea di base interessante, penalizzata da un finale telefonato.

Consigliato: no
Voto: 4.5

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Semplice: questo blog nasce dalla mente di un appassionato di cinema, con lo scopo di recensire e commentare sia gli ultimi film usciti nelle sale, sia quelli più vecchi.
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Invito caldamente te, gentile lettore, a lasciare commenti, purchè il loro contenuto non contenga forme volgari e sia inerente all'argomento.
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Buona lettura!
Flirda

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