CinemaCountry

Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio. Federico Fellini

Festival di Cannes 2009, i vincitori

Il Festival di Cannes 2009 è terminato con nessun premio assegnato all’ unico film italiano in gara: il film “Vincere” di Marco Bellocchio con Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno non “vince” nessuna Palma d’ Oro e torna a mani vuote.
Ma torna a mani vuote anche il regista Pedro Almodovar in gara a Cannes 2009 con il film “Etreintes Brisées” (“Los abrazos rotos”) interpretato da Penelope Cruz.
La Palma d’ Oro è andata invece al film “Il nastro bianco” (“Ruban Blanc”) di Michael Haneke, un film non facile da seguire sia per durata che per contenuto, ma indubbiamente un film importante per il soggetto trattato.
Per quanto riguarda invece i film francesi, il Grand Prix del Festival di Cannes 2009 è stato assegnato al film “Un Prophéte” del regista Jacques Audiard. Premiato anche il film “Les Herbes Folles” del regista Alain Resnais, un riconoscimento che tutti si aspettavano al Festival di Cannes 2009.
Il film “Antichrist” del regista Lars Von Trier con Willem Dafoe si è invece aggiudicato il premio per la Migliore Attrice attribuito a Charlotte Gainsbourg, mentre “Bastardi senza gloria” (“Inglourious Basterds”) di Quentin Tarantino ha vinto il premio per il Migliore Attore attribuito a Christoph Waltz.

Di seguito tutti i vincitori:


  • Palma d’ Oro al miglior film: “Il nastro bianco” (titolo originale del film: “Ruban Blanc”)di Michael Haneke.

  • Gran Premio della Giuria: film “Un Prophète” di Jacques Audiard

  • Premio della giuria: ex-aequo film “Fish Tank” di Andrea Arnold e film “Thirst” di Park Chan-Wook.

  • Premio Miglior attrice: Charlotte Gainsbourg per il film “Antichrist” di Lars Von Trier

  • Premio Miglior attore: Christoph Waltz per il film “Bastardi senza gloria” (titolo originale film: film “Inglourious Basterds”) di Quentin Tarantino.

  • Premio Miglior regista: Brillante Mendoza con il film “Kinatay” (tradotto film “Una pellicola”)

  • Premio Miglior sceneggiatura: film “Spring Fever” (traduzione film “Nuit d’ ivresse printannière”) di Ye Lou.

  • Premio Eccezionale della Giuria: Alain Resnais con il film “Les Herbes Folles”

Gran Torino

Ci sono registi che ci mettono vent'anni per realizzare un film, perché vogliono curarlo nei minimi dettagli ed essere sicuri di farlo al meglio. Ci sono registi che sfornano un film ogni paio d'anni, sempre curato in ogni particolare ma dalla qualità altalenante. E ci sono registi che lavorano a ciclo continuo per poter girare un film all'anno, senza curarsi della sua qualità. E poi c'è Clint Eastwood, che ha acquisito ormai da tempo una sicurezza tale da poter girare quando vuole e cosa vuole, affrontando i temi e i generi più diversi con grande perizia tecnica e realizzando sempre film di grande spessore.
In "Gran Torino" Eastwood ci presenta forse l'aspetto più reale di sè: Walt Kowalski è un uomo che ha appena perso la moglie, duro freddo e razzista, fedele ai suoi principi nazionalisti. Mi verrebbe da definirlo un americano "puro". Reduce di guerra, non ha paura di dire le cose in faccia alla gente e non sopporta i bulli che vivono nel suo quartiere e si divertono a fingersene i padroni.
Ma la vita di Walt prende una grande svolta quando incontra Thao, il ragazzo Hmong che abita nella casa accanto, che tenta di rubargli la sua Gran Torino spinto dal cugino teppista ma con il quale instaura molto lentamente un'amicizia forse ancora più profonda dell'apparenza.
Walt è un personaggio sicuramente nella linea di quelli da lui già portati sullo schermo ma è molto più complesso di quanto non possa apparire a prima vista. Il suo rapporto con l'auto e con le armi (straordinario e determinante il segno di pollice e indice a indicare la pistola come nei giochi dei bambini) ma anche quello con l'unico essere umano che si potrebbe definire suo amico (il barbiere) sono solo alcuni degli elementi che, insieme all'insorgere della malattia, costituiscono il mosaico della personalità di un protagonista non facile da dimenticare.
In sostanza, "Gran Torino" è un film intenso, solcato dalla profonda e forte espressività di un Eastwood sempre di più fuori dal comune. DA VEDERE.

Consigliato: direi piuttosto.. obbligatorio!
Voto: 8,5

Franklyn

Ambientato in due mondi paralleli, una fantascientifica città gotica chiamata "Meanwhile City" (Città di Mezzo) e la Londra dei giorni nostri, "Franklin" ci racconta attraverso efficaci immagini l'avvincente storia di quattro personaggi relativamente fuori dal comune il cui destino si incrocia casualmente.
Tutto il film vive di un continuo andare e venire tra le due realtà presentate sopra: quella realistica e quella futuristica, incrociando sempre di più le storie dei quattro protagonisti. Insieme alle realtà nel loro aspetto più esteriore, si mescolano progressivamente anche i generi del drammatico-intimista e della fantascienza.
Se all'inizio della storia la parte ambientata nel futuro ospita un vero e proprio mondo, con una società e delle ambientazioni riprese sicuramente da molte pellicole precendenti, da un certo punto in poi questo mondo si riduce fino a sparire del tutto, a causa dell'incentrarsi della storia sul personale tormento del giustiziere.
Il lungometraggio d'esordio di Gerald McMorrow presenta diverse carenze ed errori che però, dal mio punto di vista, non sono poi così rilevanti e irreparabili. Se infatti i costumi e le scenografie di fantascienza, prese da altre pellicole ben più conosciute ("Matrix", in particolare per gli abiti dei poliziotti-agenti e le immagini della Città di Mezzo), è vero anche che la piega degli eventi nel finale spiega in parte questa mancanza di originalità,
Peccato forse per l'unica ma abissale carenza, e cioè un eroe che manca di una reale forza o di una qualsiasi ironia, per di più interpretato da un Ryan Phillippe che recita decisamente meglio con la maschera in faccia piuttosto che senza...
Concludendo comunque, vale senz'altro la pena di vederlo, considerando anche che il regista è agli esordi.

Consigliato: si
Voto: 7

Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba

In un abbacinante, glaciale bianconero, il film si apre e si chiude in cielo, mentre risuonano dolci melodie sentimentali. All'inizio ("Try a Little Tenderness") un bombardiere nucleare solca le nubi; alla fine un fungo atomico s'innalza e invade lo schermo, e la voce di Vera Lynn intona "We'll Meet Again" ("Non so dove, non so quando, ma c'incontreremo di nuovo, in un giorno di sole").
Stanley Kubrick, certamente uno dei registi più geniali della storia del cinema, taglia corto con un'opera strepitosa per intelligenza, sofisticazione e bellezza, che in un'epoca di transizione tra la guerra fredda e la 'nuova frontiera' kennediana pone il problema centrale facendo leva sulla coscienza popolare. La domanda è la seguente: e se un cretino, o un pazzo, o un tale dotato di entrambi gli attributi, si prendesse la briga di mettere in moto il meccanismo sterminatore (mentre i russi ne stanno approntando uno analogo, denominato allegramente "Fine del Mondo"), cosa cosa potrebbero fare i potenti della Terra per impedire l'estinzione della razza umana? Ben poco o nulla. Sguinzagliati i bombardieri atomici, non c'è speranza di richiamarli se non con la chiave cifrata incisa nella testa del matto. Il presidente non può far altro che avvertire il suo collega del Kremlino perché abbatta gli aggressori americani. Ma uno di essi sfugge alla distruzione e felicemente compie l'agognata missione.
Così impostata la vicenda da una sceneggiatura perfetta, Stanley Kubrick la conduce al suo inevitabile epilogo, che è appunto la fine del mondo. Poiché il centro focale del film è la troppa razionalità della scienza in balia dell'irrazionalità dell'uomo. Se da un lato il cineasta non cela ammirazione per le computeristiche meraviglie della tecnica (che inquadra da vicino con precisione maniacale), dall'altro deve fare i conti con chi ha l'autorità di maneggiare a sua discrezione strumenti così delicati e letali. "La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai Generali". E qui il Generale in questione si chiama addirittura Jack D. Ripper, che poi vuol dire Jack Lo Squartatore...
Ed ecco la scelta dell'umorismo nero quale ultima ratio per trattare il tema intrattabile, senza prediche moraliste o denunce astratte. Attraverso la deformazione comica e persino farsesca, attraverso lo scatenamento paradossale ma irrefrenabile di un'idiozia che si fa autodistruzione, "Il Dottor Stranamore" (ovvero "come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba" recita il titolo) punta con gelida angoscia al cuore del pericolo, spazzando via, l'uno dopo l'altro, i fumi della propaganda ideologica. Così l'enorme cartello che spicca sul laboratorio militare annuncia a lettere chiarissime "la pace è la nostra professione" proprio mentre è in corso un massacro intestino. Così l'antica marcetta sudista "When Johnny Comes Marchin' Home Again" esplode radiosa tra l'equipaggio dell'aereo che non farà mai più ritorno a casa.
La base militare, il bombardiere e il salone di guerra del Pentagono sono i tre luoghi deputati, nessuno dei quali è praticamente in contatto con gli altri. Ogni tentativo di rapporto è aleatorio, ciascuno è un comparto stagno, gli uomini non comunicano tra loro mentre il tempo orribilmente stringe. Le scenografie dei tre ambienti - realistiche le prime due, espressionista la terza con la sua ferrea geometria a luci ed ombre - rappresentano tutte una diversa ma convergente forma di alienazione collettiva. Il film ha una struttura tanto più solida e reale, quanto più grottescamente infuria la più macabra e micidiale delle fantasie.
Alla base aerea attrezzata come la NASA, lo "squartatore" truce (Sterling Hayden) emette concetti psicolabili come il fumo del suo sigaro. Lui sa a chi dar la colpa della propria impotenza: ai comunisti che gli hanno inquinato i "fluidi vitali". Invano un suo mite sottoposto inglese (Peter Sellers) cerca di ridurlo alla ragione: il Generale ha dato il via all'attacco atomico, non molla il cifrario di richiamo, con la mitragliatrice accoglie il presunto nemico entrato nel campo, finalmente la sua ossessione lo porta al suicidio. Il Maggiore della RAF scopre per caso la famosa "chiave" ma fatica a telefonare al Presidente perché gli mancano gli spiccioli che un altro ebete sopraggiunto (Keenan Wynn) esita a raccogliere da un distributore di Coca-Cola.
Come Generale, il "Falco" del Pentagono (George C. Scott), frustrato nel convegno intimo con la segretaria, non è da meno del suo collega della base. In lui la paranoia anticomunista sembra più lucida, ma lo sguardo demente e la disinvoltura con cui calcola morti previsti a decine di milioni lo smentiscono perfino agli occhi del Presidente degli Stati Uniti (ancora Sellers) che, ignaro di tutto, nella sala della guerra tenta di salvare la pace convocando l'ambasciatore russo e attaccandosi al filo diretto per un esasperante e buffissimo dialogo con l'amico Premier, sbronzo in bordello sovietico. Ma il Falco non demorde, e attinge la sfera del sublime nel momento in cui realizza che un suo aereo sta volando indisturbato verso la mèta: con quale brio, allora, ne mima le evoluzioni fatali!
Quanto al comandante del B-52 (che il trasformista Sellers era già pronto a impersonare, cedendo poi il ruolo al caratterista western Slim Pickens), è un cowboy texano, intrattenibile rodomonte che inforca la bomba come un cavallo e, agitando il suo cappellaccio in segno di esultanza, si precipita sull'obbiettivo come nell'orgasmo più riuscito.

Consigliato: capolavoro, un must per i fan di Kubrick, un film che fa riflettere tutti.
Voto: 9,5

Cooming Soon

02. 03. 04. 05. 06. 07. 08. 09.