CinemaCountry

Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio. Federico Fellini

Planet of the Apes - Il Pianeta delle scimmie (2001)


Consigliato: Tutto sommato si

Su questa pellicola si può dire molto, ma di certo non si può chiamarlo un brutto film. Ok, diciamolo subito: non è sicuramente un remake all'altezza del capolavoro originale, ma il solito, insensato tentativo di ricercare buchi nel copione (tipico di un pubblico insensibile e pretenzioso) dovrebbe essere lasciato da parte in favore di una ricchezza figurativa davvero eccellente.
E' vero che il film presenta qualche incongruenza (il fatto che centinaia di primitivi raggiungano esattamente lo stesso posto dopo solo tre giorni dall'arrivo dell'astronauta), ma sarebbe bello anche riflettere sulla tensione narrativa, invece che concentrarsi solo sul trucco di Estella Warren o la barba sempre rasata di Marky Mark. Non è un film ricco di simbolismo come "Sleepy Hollow", né un autoriale e autobiografico ritratto di un regista come "Ed Wood", ma, anche se non sembra, "Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie" è più che mai un lungometraggio di Tim Burton, anche se non il più riuscito. Con la macchina da presa e qualche suono effeicace, il regista riesce a far emergere la rabbia delle scimmie che, in misura maggiore rispetto al predecessore, sono quantomeno 'scimmische'. Basti pensare che tutti gli attori-scimmia hanno seguito un corso di addestramento di mesi in una 'Ape School'.
In definitiva siamo di fronte ad un buon film, non solo per il geniale finale, ma anche per l'approccio singolare con la cultura dei primati. La fotografia di Philippe Roousselot e le scenografia di Rick Henrichs si fondono per creare un'ambientazione al di fuori da ogni tempo e da ogni moda. Le musiche di Danny Elfman e i costumi di Colleen Atwood infondono un fascino tribale allla pellicola e le interpretazioni di Tim Roth e Paul Giamatti sono davvero soprendenti.
Consiglierei a chi giudica male questo film di riguardarlo cercando di non partire prevenuti e già influenzati, ci sono davvero molti spunti interessanti e decisamente godibili.

Voto: 6

L'esercito delle 12 Scimmie


Consigliato: Si

E' un futuro cupo, sporco e triste quello proposto da Terry Gilliam, regista dotato di notevoli doti visionarie, se poi ci aggiungiamo "sotterraneo", il mix è ancora meno invitante. Ma ciò che è preoccupante è che è un futuro e un mondo possibile, e questo probabilmente costituisce uno dei molteplici punti che il film vuole mostrare. Il virus, come nella maggior parte dei casi, è il pretesto per il quale il futuro è ciò che è.
Ma questo non è uno scontato film apocalittico, o meglio non solo; è un film che tocca diversi generi e diversi aspetti dell'animo umano, che indaga nel profondo la psicologia (e la salute mentale) dei diversi personaggi.
"Twelve Monkeys" si presenta come un puzzle dai pezzi sparsi un po' dappertutto e l'unica tessera di riferimento a cui il protagonista James Cole (Bruce Willis) dovrà aggrapparsi è una fantomatica organizzazione chiamata "Esercito delle dodici scimmie", coinvolta più o meno direttamente nella responsabilità del contagio. Pochi elementi che dovranno essere approfonditi tra un continuo andirivieni tra passato, presente e futuro che metteranno in discussione la già fragile percezione della realtà del protagonista, il quale arriva persino a credere di essersi immaginato tutta la vicenda. Un atteggiamento quello di Cole da animale braccato, perennemente in fuga dal suo tempo di provenienza e dalla polizia per il rapimento della dottoressa Reilly, in un mondo distopico e angosciante. Allo stesso tempo la scoperta del passato per Cole rappresenta un valore comunque molto alto, malgrado l'esperienza sia tutt'altro che piacevole: il solo vivere e vedere la luce del sole respirando l'aria a pieni polmoni mentre ascolta della musica, provoca in lui delle reazioni estasianti, come un bambino che entra in un negozio di giocattoli. In fondo sono cose molto semplici che noi diamo per scontato, ma per Cole è riscoprire dei piaceri ormai perduti, legati alla sua infanzia prima dell'epidemia.
Bruce Willis fa un deciso salto di qualità nella sua carriera d'attore offrendo probabilmente la sua migliore prova di attore: il personaggio di James Cole è molto diverso dalle sue precedenti prove, tutte incentrate nell'esprimere prima di tutto la fisicità dei personaggi a discapito dell'introspezione psicologica. La diversità di Cole sta nel manifestare la sua fragilità mentale e le sue insicurezze, e Willis riesce alla perfezione mostrando tutta una gamma di emozioni e sfumature finora nascoste dai vari stereotipi da action movie che aveva intepretato. Un film fortemente voluto dall'attore americano che ha creato un clima molto collaborativo col regista Terry Gilliam. Davvero un bel film.

Voto: 8

Bastardi senza gloria



Consigliato: Imperdibile

Primo anno dell'occupazione tedesca in Francia. Il Colonnello delle SS Hans Landa, dopo un lungo e mellifluo interrogatorio, decima l'ultima famiglia ebrea sopravvissuta in una località di campagna. La giovane Shosanna riesce però a fuggire. Diventerà proprietaria di una sala cinematografica in cui confluirà un doppio tentativo di eliminare tutte le alte sfere del nazismo, Hitler compreso. Infatti, al piano messo in atto artigianalmente dalla ragazza se ne somma uno più complesso. Ad organizzarlo è un gruppo di ebrei americani guidati dal tenente Aldo Raine i quali non si fermano dinanzi a niente pur di far pagare ai nazisti le loro colpe.
Ciò che Tarantino ci propone con "Bastardi senza gloria" è Cinema alla massima potenza.
Sarà la sua cultura enciclopedica, la sua sfrenata passione per il vero cinema di genere, la sua bravura nel farlo rivivere rendendolo più moderno, la sua regia sempre accattivante, la sua ossessione per la ricchezza dei particolari; insomma Quentin ha proprio fatto centro, di nuovo.
Questa volta si prende anche il lusso di riscrivere la Storia ufficiale con un attentato a Hitler, cosa che avviene nell'unico luogo in cui il regista americano può pensare si possa attuare una giustizia degna di questo nome: una sala cinematografica. È solo al cinema che i cattivi muiono quando devono e gli eroi si sacrificano o trionfano.
I tempi, i dialoghi, la tensione, l'ironia ben giocata con le lingue differenti, tutto contribuisce a fare di questa pellicola un grande gioiello i cui riferimenti vanno ampiamente al di là di quelli classici dichiarati, quali Sergio Leone e lo spaghetti western.



Straordinaria prestazione da parte di tutto il cast, dal sempre sopra le righe Brad Pitt al brillante Eli Roth (più conosciuto come regista dei due Hostel), che mostra ampiamente le sue capacità come attore, da una perfetta Diane Kruger a Mélanie Laurent, ma farei grande attenzione in particolare per Christoph Waltz, attore austriaco semisconosciuto da noi, prova ancora una volta del fatto che conosciamo pochissimo del cinema europeo), grande rivelazione di questo film.
Tarantino conduce le danze in modo splendido (rendendo omaggio a Enzo Castellari senza per questo avere la minima intenzione di realizzare un remake), mescolando insieme diversi generi. Il film inizia infatti come un western e continua come un film di guerra, per poi passare allo storico, alla commedia, al gangster movie e al melodramma, e perfino al documentario, che ogni tanto “spiega” allo spettatore un fatto particolare.

In merito al suo “Bastardi senza gloria”, lo stesso Quentin Tarantino ha commentato:
“In un film tutto è possibile, anche far finire una guerra di colpo e di colpo togliere di mezzo i grandi criminali al potere; il cinema ha questa grande forza, far riflettere su come un solo gesto, una sola persona, potrebbero cambiare la storia. Il nazismo ormai è diventato un genere cinematografico come lo spaghetti western, il war movie, il thriller, il comico, la spy story: io li ho mescolati tutti insieme per uscire dai canoni banali con cui viene troppo spesso raccontata la seconda guerra mondiale”.
E per concluderla come nel film, Sai che ti dico, Quentin? Questo potrebbe essere il tuo capolavoro...

Voto: 9

The Prestige

Un'amicizia che sfocia in rivalità, una rivalità che da vita ad una sfida ossessiva tra due giovani apprendisti maghi, Robert Angier (Hugh Jackman) e Alfred Borden (Christian Bale).
Ambientato nella Londra del 1899, The Prestige è un film complesso, emozionante e sempre coinvolgente grazie ad un ritmo in costante crescendo e un finale tanto sorprendente quanto ricco di spunti di riflessione. La complessità del film è presente su vari livelli; prima di tutto quello narrativo: Il film comincia dalla fine, ricostruendo la vicenda a ritroso, ma mai in maniera lineare, inoltre si intersecano flashback e flashforward, si ripropongono episodi uguali osservati però da punti di vista molteplici. Le chiavi di lettura della trama sono estremamente varie, mai banali e soprattutto molto attuali: la distinzione tra realtà e illusione, l'analisi di quale delle due abbia un ruolo più importante nella vita di tutti i giorni, il rapporto/scontro tra magia e scienza, il desiderio di emergere che finisce con il diventare prevaricazione, la semplicità con cui un semplice desiderio diventi un'ossessione, il sacrificio delle amicizie, dell'amore, della famiglia e perfino di sè stessi come prezzo da pagare per raggiungere l'obbiettivo prestabilito. Una regia, quella di Christopher Nolan, sicura, avara di virtuosismi e che non concede cali di tensione e una sceneggiatura solida aiutano a non perdersi nella ricchezza che il film ci regala per tutta la sua durata. Alla fine tutti i tasselli, anche quelli apparentemente più insignificanti, vanno al posto giusto e lo spettatore non può fare altro che lasciarsi travolgere e stupire. A rendere ancora più affascinante la confezione contribuiscono le scenografie e la fotografia splendide, sospese tra un alone di magia ed oscuro mistero, effetti visivi ottimi e sempre funzionali. Nolan, oltre che ottimo narratore, si mostra anche grande direttore attoriale, riuscendo ad ottenere il massimo da tutti i suoi protagonisti. Jackman e Bale oltre a sfidarsi sullo schermo, competono per chi dei due sia il migliore del cast. Michael Caine è sempre raffinato, simpatico e impeccabile, Rebecca Hall dolce e ingenua, Scarlett Johannson brava, anche se il suo è solo un ruolo di secondo piano. Ottima prova anche per David Bowie, nel ruolo di Nikola Testla, che pur rimanendo in scena per non più di venti minuti, da sfoggio di un carisma attoriale veramente straordinario, da far invidia a tanti giovani pivelli di Hollywood. Un film fantastico, in tutti i sensi.

Consigliato: Si, assolutamente da non perdere
Voto: 8

Parnassus - l'uomo che voleva ingannare il diavolo



Consigliato: Assolutamente si

Terry Gilliam è da tempo considerato come uno dei registi più visionari e creativi che il panorama del cinema mondiale abbia mai conosciuto. Con questo nuovo film, non ha fatto altro che contribuire a darcene la prova ancora una volta.
"Parnassus - l'uomo che voleva ingannare il diavolo", non è solo un film, è la pura essenza del cinema. E credo che poche, pochissime, siano state le pellicole in grado di farmi dire una frase del genere.
Mi piace definire il cinema come mezzo, o meglio, forma d'arte attraverso la quale veniamo a conoscenza di una storia qualunque raccontata da un determinato punto di vista. Ma il cinema è anche il più riuscito strumento attraverso il quale è possibile conoscere nuovi orizzonti e universi. In "Parnassus", esso è ben rappresentato dallo specchio immancabilmente presente al centro del "teatrino mobile" durante ogni spettacolo: se ci limitiamo a osservarlo da lontano, esso riflette semplicemente la comune realtà, ma se invece ci passiamo attraverso, esso è in grado di farci sperimentare qualcosa di unico e meraviglioso, un'estasi indescrivibile a parole.
Tornando al film, comunque, non aspettatevi di capirci qualcosa. Già, perchè la trama non è che sia complessa, confusa o sconnessa: è semplicemente priva di un senso logico. Quindi se provate, una volta usciti dalla sala, a ricostruire gli avvenimenti cercando di trovarci un filo conduttore perdete solo tempo. Questo è un film che va accettato per come si presenta, l'unica cosa che lo spettatore è tenuto a fare è lasciarsi travolgere dalla straordinaria forza delle immagini, donateci da Terry Gilliam in modo meraviglioso.
Per quanto riguarda l'interpretazione degli attori non c'è molto da dire: un Heath Ledger splendido e perfetto per il ruolo di Tony, conferma ancora una volta di quanto il cinema abbia perso con la sua prematura morte. Johnny Depp magnifico anche nei pochi minuti di apparizione, e lo stesso si può dire per Colin Farrel, ma non per Jude Law, a mio avviso un po' sotto tono rispetto agli altri, forse perchè il ruolo non gli si addice molto. Ottimo Christopher Plummer, e brava anche Lily Cole, che da prova di un incredibile fascino, e che con questo film da una bella spinta alla sua carriera cinematografica.
Gilliam è riuscito a realizzare un omaggio davvero speciale all'attore scomparso, perché questo suo film è un inno alla vita e all'immaginario che debbono poter vincere nonostante tutto, anche nonostante i lati oscuri delle fantasie che ci pervadono. È un gioco di alto equilibrismo sulla corda tesa della fantasia ciò che ci viene proposto. Gilliam è da sempre Parnassus. Non è immortale, ma la sua inesauribile voglia di immagini che non offuschino la fantasia, come spesso accade, ma la spingano ad aprirsi a nuovi orizzonti è rimasta intatta con il trascorrere degli anni e, grazie agli sviluppi della tecnologia, ha trovato nuovi materiali sui quali basarsi. Il bambino che è in Terry è più vivace che mai, conosce la luce e il buio, la felicità e la paura e aspetta che passiamo a trovarlo. Vive sul carro del Dottor Parnassus.
Un film bellissimo, da guardare con la mente spalancata.

Voto: 8,5

La Coppia degli Orrori: Johnny Depp - Tim Burton

Uno è un attore straordinario, una star internazionale, considerato da molti uno dei più bravi, talentuosi ed influenti personaggi del cinema d'oggi; l'altro è un regista visionario dalle grandissime capacità che attira milioni di fan grazie a quel suo specialissimo tocco caratteristico, un insieme di horror, macabro e fantastico mixato in modo accattivante e presente immancabilmente in ogni suo film. La coppia Depp-Burton sembra non smettere mai di stupire inventando nuove ed efficaci storie, sempre più geniali e originali.
In un intervista Depp rivela:"La maggior parte delle persone rimane sconcertata quando sentono Tim che mi impartisce direttive o quando parliamo del personaggio sul set. Loro non sanno di quel che parliamo, in realtà. E' semplicemente una di quelle cose che non si possono chiedere, ma sono sicuro che verranno amate".


Insieme hanno lavorato a capolavori come:
  • Edward mani di forbice (1990)
  • Ed Wood (1994)
  • Il mistero di Sleepy Hollow (1999)
  • La fabbrica di cioccolato (2005)
  • La sposa cadavere (2005)
  • Sweeney Todd (2007)
E prossimamente li vedremo inmpeganti in:
  • Alice nel Paese delle meraviglie (2010)
  • Dark Shadows (pronto per il 2011)

Be Kind Rewind - Gli Acchiappafilm

Si può dire che sia un vero atto d’amore per il “fare cinema” l’ultimo film di Michel Gondry: non tanto per il cinema in sé, quanto per il processo di creazione di un’opera cinematografica, quel momento in cui l’immaginazione deve concretizzarsi nei fatti e trovare soluzioni sempre nuove, rinnovando e adattando costantemente la propria sensibilità. Perché creare, con le mani, con materiali di scarto, o con qualunque cosa capiti a disposizione, è il fulcro della poetica di un regista che, dopo film come Eternal Sunshine e L’arte del sogno, sembra allargare il suo sguardo alla storia recente e passata dello stesso mezzo con cui si esprime. Be Kind Rewind diventa così un omaggio insieme appassionato e sarcastico ai capolavori del cinema e ai blockbuster, attraverso un’operazione di “remake” artigianale che li riduce alle componenti essenziali, ne svela l’artificiosità o il valore, ne celebra il fascino fanciullesco e il seducente magnetismo che esercitano sull’immaginario collettivo. E Gondry lavora proprio su questa dimensione: noi spettatori proviamo piacere e soddisfazione nel riconoscere le sequenze celebri di King Kong o Ghostbusters replicate in economia di mezzi, mentre i protagonisti provano piacere a interpretarle, a reinventarle; ovvero, ad abbandonare le vesti di pubblico passivo per assumere lo status di autori. E allora può succedere che in un quartiere dimenticato dal mondo, in una città in cui Hollywood non passerebbe neppure per sbaglio, un’intera comunità si riscopra unita e solidale nel buio di una sala improvvisata, quando si raggiunge l’apoteosi, e forse anche la conclusione, della straordinaria esperienza di creazione collettiva. Un attimo colmo di dolcezza e di ambiguità che non vuole chiudere il cerchio né offrire soluzioni pronte all’uso, ma cambia volto a una storia giocata in prevalenza sui toni della commedia demenziale-surreale. La fantasia di Michel Gondry declinata in forme sorprendenti: DA VEDERE.

Consigliato: Si
Voto: 7,5

Gone Baby Gone


Ben Affleck si sposta e passa dietro la macchina da presa e lo fa scegliendo un soggetto molto difficile da trattare, la violenza sui bambini.
Si affida al romanzo "La Casa Buia" di Dennis Lehane (già autore di Mystic river) e insieme ad Aaron Stockard ne scrive la sceneggiatura.
Protagonisti della pellicola sono due detective privati Patrick ed Angie a cui viene chiesto di indagare sulla scomparsa di Amanda, una bambina di 4 anni con una madre tossicodipendente.
La vicenda si svolge in un quartiere malfamato di Boston, ben conosciuto dai due investigatori che lì sono cresciuti e che conoscono tutti ed è proprio il quartiere, la sua vita e le facce dei suoi abitanti uno degli aspetti più interessanti e ben costruiti del film.
Ben Affleck si rivela un attento conoscitore di quella zona e delle sue miserie, il degrado morale e materiale viene mostrato con sapienza, la camera si muove sicura su quei volti lontani mille chilometri dalle belle facce imberbi di Hollywood.
E anche la scelta della faccia da bravo ragazzo di Casey Affleck si rivela vincente, ottimo attore, riesce a rendere le tante sfumature del suo personaggio. Patrick non è solo il protagonista della vicenda è il perno morale ed etico attorno al quale gira tutta la storia, saranno le sue scelte a porre le domande più difficili e spinose. Qui il bene e il male non sono definiti in modo monolitico e nessuno si può definire innocente o giusto, tranne ovviamente i bambini.
La storia è emotivamente molto forte, ma Affleck è sempre attento a trattare questi temi con pudore, non c’è mai voyeurismo, né immagini shockanti, qui lo stile asciutto di Clint Eastwood ha fatto fortunatamente scuola.
Purtroppo dopo due terzi della narrazione Ben Affleck abbandona il ritratto ambientale e il degrado sociale per concentrarsi unicamente sulla trama gialla. La necessità di spiegare la vicenda di Amanda nel modo più chiaro possibile rende il finale troppo lungo, caratterizzato da una serie interminabile di confronti e spiegazioni tra i vari personaggi.
Nell’insieme “Gone baby gone” è un buon film e ci mostra un regista emergente che potrà sicuramente in futuro fare un ottimo lavoro.

Consigliato: decisamente si
Voto: 7

Angeli e Demoni


Dopo Il Codice da Vinci, Tom Hanks reindossa i panni di Robert Langdon, studioso di simbologia di Harvard chiamato a risolvere un altro mistero in bilico tra logica e religione con l’aiuto di Vittoria Vetra (Ayelet Zurer), una scienziata di origini italiane.
Lo scenario non è più Parigi, ma Roma, location che permette al regista Ron Howard di concedersi qualche svago in più rispetto al film precedente, con un montaggio serrato, fortemente funzionale allo sviluppo narrativo, muovendosi tra chiese, piazze e piani suggestivi.
Il risultato? Un film discreto, anche se pieno di incongruenze ed errori sicuramente evitabili.
Molto probabilmente il talento di Mr. “Forrest Gump” è forse eccessivo per un ruolo che non richiede una grande capacità interpretativa, decisamente poco disposto ad infiltrarsi nella psicologia interiore del personaggio.
Convincente comunque praticamente tutto il resto del cast. Fa molto piacere notare come anche in America si siano accorti del talento cristallino del nostro Pierfrancesco Favino, che se la cava sicuramente in quella che sembra una progressiva salita.
Non manca poi di certo l'adrenalina e la suspense, ingredienti che attirano sempre lo spettatore anche meno affamato, per il quale la realtà conta fino ad un certo punto.
In bilico tra blasfemia e semplice provocazione, "Angeli e Demoni" si rivela un film godibile ed interessante, soprattutto se visto col giusto atteggiamento.

Consigliato: si
Voto: 6,5

Addio Michael Jackson


Michael Jackson, la più grande icona del pop americano, uno dei personaggi più controversi della sua generazione, è morto improvvisamente la notte del 26 giugno a Los Angeles, ad appena 50 anni, lasciando l'America trafitta da mille emozioni e in stato di shock. Le sue canzoni, leggendarie, sono state il punto di riferimento di tre generazioni. Il suo album più famoso "Thriller", del 1982, resta il disco più venduto del mondo: diventò il simbolo dell'America travolta dalla rivoluzione reaganiana. Un'America pervasa sul piano culturale da un senso di liberazione e di rottura che trova un precedente solo negli anni Sessanta e nell'isteria contagiosa che riuscivano a propagare i Beatles. Thriller e Jackson con il suo passo di danza al rallentatore, il Moonwalking, diventarono il punto di riferimento di una società in trasformazione e di un momento magico per la creatività artistica, per la vita notturna, per la nascita di quartieri come Soho a New York. Erano ancora i tempi di Studio 54, di Xenon, di Regine's, del jet set internazionale, di Andy Warhol, di Ian Schrager e di Steve Rubell e del "disco".

Per quanto riguarda la filmografia che lo riguarda sono da ricordare:

1986 - Captain EO
1988 - Moonwalker
1991 - Dangerous - The Short Films
1997 - Ghosts
2002 - Men in Black II (comparsa)
2004 - Miss Cast Away (comparsa)

Jumper

Ciò che mi chiedo spesso guardando film sui supereroi è perché essi non decidono mai di usare i loro poteri come comfort piuttosto che per salvare il mondo. Ed è proprio da un presupposto simile che sembra partire Doug Liman per il suo nuovo film, che cerca di raccontare la vita e le opere di un ragazzo con dei superpoteri e i pro e i contro della situazione, mischiando il tutto con l'avventura adolescenziale che tanto attira il pubblico. Ma vanifica gran parte degli spunti e delle occasioni presenti.
Scritto da David S. Goyer, Jim Uhls e Simon Kinberg, da una serie di romanzi di Steven Gould, "Jumper" è un thriller fantascientifico con molta azione che potrebbe diventare anche una saga sul Bene e il Male dopo l'11 settembre ma che si ferma alla tipica serie B per "ragazzini ormonali". Ambientato in mille parti del mondo (con lunga sequenza al Colosseo), ma senza che si capisca mai fino in fondo dove siamo, il film sembra un po' un epigolo di "Heroes" che parte come una commedia giovanile dai tocchi fantastici, in cui si poteva descrivere bene le gioie e i pregi della diversità, per diventare un racconto d'avventure sci-fi che virano verso il fantasy proprio nel momento in cui entrano i Paladini (coloro che cacciano i 'Jumper'), branca deviata e religiosamente fanatica, che auspica l'oppressione al libero pensiero, visto come un'offesa a Dio (così come l'onnipresenza).
E' soprattutto per la quantità e qualità di spunti e materiale che non si capisce la scadente riuscita del film (dopo il discreto prologo), semplicistico e manicheo, lento nella sua confusione narrativa e che ha il difetto principale di non creare un mondo, di non costruire una mitologia degna del nome, di non sviluppare i mille risvolti della storia di Steven Gould, dalla lotta millenaria tra dio e ragione, libertà e oppressione, fino alla saga familiare, tralasciando persino le elementari regole della serialità anche cinematografica.
In un parola: CONFUSO, nella costruzione, negli sviluppi narrativi, nelle semplici strategie di racconto, per non parlare dello svolgimento tanto frenetico e incomprensibile da perdere i nessi logici e temporali. Generando lentezza, e danneggiando una regia comunque non in grado di reggere il ritmo, di tappare i buchi di script, né di gestire con un minimo di competenza la delicata ed estremamente affascinante materia narrativa, fallendo completamente il gioco geometrico dello sguardo e dell'azione.
In questo pasticcio livellato verso il basso e la stupidità, sembra davvero troppo chiedere ai ragazzi ingaggiati come attori di sollevare il livello: non può Hayden Christensen, abbastanza patetico se non ha l'aura di Anakin Skywalker, né Rachel Bilson, ragazzina spigliata e poco più. Ci prova un po' Jamie Bell, e soprattutto Samuel L. Jackson, ma è davvero troppo poco.
Concludendo rimane l'amarezza nel comprendere un' altra volta ancora che troppo spesso ormai buoni spunti e idee vengono realizzate con scarso interesse per i contenuti, dando invece più spazio all'aspetto visivo e agli effetti speciali, che però non a tutti bastano. Peccato.

Consigliato: rilevanti solo gli effetti speciali.
Voto: 5

Alvin Superstar


Tim Hill, regista di "Garfield 2" (e anche di un film con i Muppet), costruisce un lungometraggio diretto ai più piccoli, aggiornando le vicende dei tre scoiattoli (che risalgono originariamente al 1958) e inserendo alcuni numeri musicali che forse riescono a intrattenere anche gli adulti. Jason Lee è simpatico nel ruolo dell'eterno sognatore Dave, e la realizzazione degli scoiattoli è realmente accattivante e ben riuscita. Come tutti i film di questo genere, però, i valori fondamentali vengono espressi attraverso le situazioni che vedono coinvolti i protagonisti, e qualche banalità finisce per affiorare. Bisogna comunque tenere conto che la semplicità spesso è molto difficile da trasferire. Alvin Superstar, è un film veramente per bambini, caso raro di questi tempi in cui le major realizzano film di animazione a più livelli per coinvolgere un pubblico sempre più vasto, e recupera dei personaggi che, anche nel piccolo, hanno segnato i tempi.

Consigliato: interessante come film per bambini
Voto: 4,5

La Setta delle Tenebre

Si pù notare benissimo come "La setta delle tenebre" mostri già nel prologo i propri, pochi, punti cardine. Una mancata scena di sesso lesbico e l'affascinante protagonista nei panni di una vampira vendicativa compongono un film basato quasi esclusivamente su contesti lussuosi, dove il sesso sanguinolento sembra solo uno dei giochini di un'altoborghesia annoiata.
Alla perversione dei contenuti tipica degli ultimi horror contemporanei, però, non fa da controparte una messa in scena altrettanto sporca, e capace di dare un tocco di relativa novità a un film di genere. Siamo lontani anni luce dalla materia grezza con cui Rob Zombie ci mostra l'orrore: se Zombie neanche tanto velatamente porta lo spettatore a farsi cosciente del proprio ruolo perverso, La setta delle tenebre, con le sue immagini laccate e televisive, è un horror che non disturba, non inquieta e non fa paura.
Grazie a una cultura di genere, sui vampiri sappiamo già tutto, le sequenze dunque si precedono e gli effetti di flashback non possono che risultare pleonastici. Privo del coraggio di spingere ancora più a fondo sulle sue perversioni, La setta delle tenebre resta sulla superficie, non riesce a coinvolgere lo spettatore fino in fondo in una storia di cui si conosce già la conclusione.
Per concludere, in un film decisamente di basso livello, fondato principalmente sulla figura della sua interprete principale, resta persino il dubbio che Lucy Liu non sia proprio l'attrice più adatta per quel ruolo.

Consigliato: no
Voto: 3,5

Across The Universe

I Beatles.. quattro ragazzi, un nome, un mito.
Ma non sono loro i veri protagonisti di "Across The Universe", la pellicola diretta dalla talentuosa Julie Taymor, ma bensì le loro canzoni.
Dopo i discreti "Frida" e "Titus", la Taymor ci regala questo potente miscuglio di immagini psichedeliche sullo sfondo di una stravagante ma profonda storia d'amore.
Across The Universe non è quindi un film sui Beatles, ma raccontato dai Beatles, ed è proprio ciò che lo rende così originale e creativo.
Un "Moulin Rouge" del '68, così si può definire. Nessuna critica, il film di Luhrmann è stato talmente innovativo che merita seguaci, e ben vengano. Julie Taymor ritorna con la classica squadra di collaboratori (compositore, costumista, effetti speciali) per mostrare al pubblico la sua personalissima visione del mondo. Potrà piacere o non piacere, ma di certo non lascia indifferenti, come non possono, per forza storica, lasciare indifferenti le canzoni dei Beatles, filo conduttore di tutta la vicenda. Riadattate, reinterpretate (anche da Bono Vox degli U2), riarrangiate come se fossero metal rock o sinfonie rinascimentali, i testi e le musiche dei Fab Four valgono da sole un film come questo.
Al di là di un buon impianto scenico e degli interpreti giovani e talentosi, il film non ha una solida sceneggiatura ma, forse, non è un cruccio tanto grande visto che la pellicola non vuole mai essere realistica o coerente sotto un profilo narrativo. Rimangono le splendide invenzioni visive della regista, brava e originale, da cui tutti aspettiamo un film non solo visivo, ma anche di contenuti.
E' proprio vero: ALL YOU NEED IS LOVE.

Consigliato: assolutamente si, soprattutto per i fan dei Beatles.
Voto: 8

Festival di Cannes 2009, i vincitori

Il Festival di Cannes 2009 è terminato con nessun premio assegnato all’ unico film italiano in gara: il film “Vincere” di Marco Bellocchio con Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno non “vince” nessuna Palma d’ Oro e torna a mani vuote.
Ma torna a mani vuote anche il regista Pedro Almodovar in gara a Cannes 2009 con il film “Etreintes Brisées” (“Los abrazos rotos”) interpretato da Penelope Cruz.
La Palma d’ Oro è andata invece al film “Il nastro bianco” (“Ruban Blanc”) di Michael Haneke, un film non facile da seguire sia per durata che per contenuto, ma indubbiamente un film importante per il soggetto trattato.
Per quanto riguarda invece i film francesi, il Grand Prix del Festival di Cannes 2009 è stato assegnato al film “Un Prophéte” del regista Jacques Audiard. Premiato anche il film “Les Herbes Folles” del regista Alain Resnais, un riconoscimento che tutti si aspettavano al Festival di Cannes 2009.
Il film “Antichrist” del regista Lars Von Trier con Willem Dafoe si è invece aggiudicato il premio per la Migliore Attrice attribuito a Charlotte Gainsbourg, mentre “Bastardi senza gloria” (“Inglourious Basterds”) di Quentin Tarantino ha vinto il premio per il Migliore Attore attribuito a Christoph Waltz.

Di seguito tutti i vincitori:


  • Palma d’ Oro al miglior film: “Il nastro bianco” (titolo originale del film: “Ruban Blanc”)di Michael Haneke.

  • Gran Premio della Giuria: film “Un Prophète” di Jacques Audiard

  • Premio della giuria: ex-aequo film “Fish Tank” di Andrea Arnold e film “Thirst” di Park Chan-Wook.

  • Premio Miglior attrice: Charlotte Gainsbourg per il film “Antichrist” di Lars Von Trier

  • Premio Miglior attore: Christoph Waltz per il film “Bastardi senza gloria” (titolo originale film: film “Inglourious Basterds”) di Quentin Tarantino.

  • Premio Miglior regista: Brillante Mendoza con il film “Kinatay” (tradotto film “Una pellicola”)

  • Premio Miglior sceneggiatura: film “Spring Fever” (traduzione film “Nuit d’ ivresse printannière”) di Ye Lou.

  • Premio Eccezionale della Giuria: Alain Resnais con il film “Les Herbes Folles”

Gran Torino

Ci sono registi che ci mettono vent'anni per realizzare un film, perché vogliono curarlo nei minimi dettagli ed essere sicuri di farlo al meglio. Ci sono registi che sfornano un film ogni paio d'anni, sempre curato in ogni particolare ma dalla qualità altalenante. E ci sono registi che lavorano a ciclo continuo per poter girare un film all'anno, senza curarsi della sua qualità. E poi c'è Clint Eastwood, che ha acquisito ormai da tempo una sicurezza tale da poter girare quando vuole e cosa vuole, affrontando i temi e i generi più diversi con grande perizia tecnica e realizzando sempre film di grande spessore.
In "Gran Torino" Eastwood ci presenta forse l'aspetto più reale di sè: Walt Kowalski è un uomo che ha appena perso la moglie, duro freddo e razzista, fedele ai suoi principi nazionalisti. Mi verrebbe da definirlo un americano "puro". Reduce di guerra, non ha paura di dire le cose in faccia alla gente e non sopporta i bulli che vivono nel suo quartiere e si divertono a fingersene i padroni.
Ma la vita di Walt prende una grande svolta quando incontra Thao, il ragazzo Hmong che abita nella casa accanto, che tenta di rubargli la sua Gran Torino spinto dal cugino teppista ma con il quale instaura molto lentamente un'amicizia forse ancora più profonda dell'apparenza.
Walt è un personaggio sicuramente nella linea di quelli da lui già portati sullo schermo ma è molto più complesso di quanto non possa apparire a prima vista. Il suo rapporto con l'auto e con le armi (straordinario e determinante il segno di pollice e indice a indicare la pistola come nei giochi dei bambini) ma anche quello con l'unico essere umano che si potrebbe definire suo amico (il barbiere) sono solo alcuni degli elementi che, insieme all'insorgere della malattia, costituiscono il mosaico della personalità di un protagonista non facile da dimenticare.
In sostanza, "Gran Torino" è un film intenso, solcato dalla profonda e forte espressività di un Eastwood sempre di più fuori dal comune. DA VEDERE.

Consigliato: direi piuttosto.. obbligatorio!
Voto: 8,5

Franklyn

Ambientato in due mondi paralleli, una fantascientifica città gotica chiamata "Meanwhile City" (Città di Mezzo) e la Londra dei giorni nostri, "Franklin" ci racconta attraverso efficaci immagini l'avvincente storia di quattro personaggi relativamente fuori dal comune il cui destino si incrocia casualmente.
Tutto il film vive di un continuo andare e venire tra le due realtà presentate sopra: quella realistica e quella futuristica, incrociando sempre di più le storie dei quattro protagonisti. Insieme alle realtà nel loro aspetto più esteriore, si mescolano progressivamente anche i generi del drammatico-intimista e della fantascienza.
Se all'inizio della storia la parte ambientata nel futuro ospita un vero e proprio mondo, con una società e delle ambientazioni riprese sicuramente da molte pellicole precendenti, da un certo punto in poi questo mondo si riduce fino a sparire del tutto, a causa dell'incentrarsi della storia sul personale tormento del giustiziere.
Il lungometraggio d'esordio di Gerald McMorrow presenta diverse carenze ed errori che però, dal mio punto di vista, non sono poi così rilevanti e irreparabili. Se infatti i costumi e le scenografie di fantascienza, prese da altre pellicole ben più conosciute ("Matrix", in particolare per gli abiti dei poliziotti-agenti e le immagini della Città di Mezzo), è vero anche che la piega degli eventi nel finale spiega in parte questa mancanza di originalità,
Peccato forse per l'unica ma abissale carenza, e cioè un eroe che manca di una reale forza o di una qualsiasi ironia, per di più interpretato da un Ryan Phillippe che recita decisamente meglio con la maschera in faccia piuttosto che senza...
Concludendo comunque, vale senz'altro la pena di vederlo, considerando anche che il regista è agli esordi.

Consigliato: si
Voto: 7

Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba

In un abbacinante, glaciale bianconero, il film si apre e si chiude in cielo, mentre risuonano dolci melodie sentimentali. All'inizio ("Try a Little Tenderness") un bombardiere nucleare solca le nubi; alla fine un fungo atomico s'innalza e invade lo schermo, e la voce di Vera Lynn intona "We'll Meet Again" ("Non so dove, non so quando, ma c'incontreremo di nuovo, in un giorno di sole").
Stanley Kubrick, certamente uno dei registi più geniali della storia del cinema, taglia corto con un'opera strepitosa per intelligenza, sofisticazione e bellezza, che in un'epoca di transizione tra la guerra fredda e la 'nuova frontiera' kennediana pone il problema centrale facendo leva sulla coscienza popolare. La domanda è la seguente: e se un cretino, o un pazzo, o un tale dotato di entrambi gli attributi, si prendesse la briga di mettere in moto il meccanismo sterminatore (mentre i russi ne stanno approntando uno analogo, denominato allegramente "Fine del Mondo"), cosa cosa potrebbero fare i potenti della Terra per impedire l'estinzione della razza umana? Ben poco o nulla. Sguinzagliati i bombardieri atomici, non c'è speranza di richiamarli se non con la chiave cifrata incisa nella testa del matto. Il presidente non può far altro che avvertire il suo collega del Kremlino perché abbatta gli aggressori americani. Ma uno di essi sfugge alla distruzione e felicemente compie l'agognata missione.
Così impostata la vicenda da una sceneggiatura perfetta, Stanley Kubrick la conduce al suo inevitabile epilogo, che è appunto la fine del mondo. Poiché il centro focale del film è la troppa razionalità della scienza in balia dell'irrazionalità dell'uomo. Se da un lato il cineasta non cela ammirazione per le computeristiche meraviglie della tecnica (che inquadra da vicino con precisione maniacale), dall'altro deve fare i conti con chi ha l'autorità di maneggiare a sua discrezione strumenti così delicati e letali. "La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai Generali". E qui il Generale in questione si chiama addirittura Jack D. Ripper, che poi vuol dire Jack Lo Squartatore...
Ed ecco la scelta dell'umorismo nero quale ultima ratio per trattare il tema intrattabile, senza prediche moraliste o denunce astratte. Attraverso la deformazione comica e persino farsesca, attraverso lo scatenamento paradossale ma irrefrenabile di un'idiozia che si fa autodistruzione, "Il Dottor Stranamore" (ovvero "come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba" recita il titolo) punta con gelida angoscia al cuore del pericolo, spazzando via, l'uno dopo l'altro, i fumi della propaganda ideologica. Così l'enorme cartello che spicca sul laboratorio militare annuncia a lettere chiarissime "la pace è la nostra professione" proprio mentre è in corso un massacro intestino. Così l'antica marcetta sudista "When Johnny Comes Marchin' Home Again" esplode radiosa tra l'equipaggio dell'aereo che non farà mai più ritorno a casa.
La base militare, il bombardiere e il salone di guerra del Pentagono sono i tre luoghi deputati, nessuno dei quali è praticamente in contatto con gli altri. Ogni tentativo di rapporto è aleatorio, ciascuno è un comparto stagno, gli uomini non comunicano tra loro mentre il tempo orribilmente stringe. Le scenografie dei tre ambienti - realistiche le prime due, espressionista la terza con la sua ferrea geometria a luci ed ombre - rappresentano tutte una diversa ma convergente forma di alienazione collettiva. Il film ha una struttura tanto più solida e reale, quanto più grottescamente infuria la più macabra e micidiale delle fantasie.
Alla base aerea attrezzata come la NASA, lo "squartatore" truce (Sterling Hayden) emette concetti psicolabili come il fumo del suo sigaro. Lui sa a chi dar la colpa della propria impotenza: ai comunisti che gli hanno inquinato i "fluidi vitali". Invano un suo mite sottoposto inglese (Peter Sellers) cerca di ridurlo alla ragione: il Generale ha dato il via all'attacco atomico, non molla il cifrario di richiamo, con la mitragliatrice accoglie il presunto nemico entrato nel campo, finalmente la sua ossessione lo porta al suicidio. Il Maggiore della RAF scopre per caso la famosa "chiave" ma fatica a telefonare al Presidente perché gli mancano gli spiccioli che un altro ebete sopraggiunto (Keenan Wynn) esita a raccogliere da un distributore di Coca-Cola.
Come Generale, il "Falco" del Pentagono (George C. Scott), frustrato nel convegno intimo con la segretaria, non è da meno del suo collega della base. In lui la paranoia anticomunista sembra più lucida, ma lo sguardo demente e la disinvoltura con cui calcola morti previsti a decine di milioni lo smentiscono perfino agli occhi del Presidente degli Stati Uniti (ancora Sellers) che, ignaro di tutto, nella sala della guerra tenta di salvare la pace convocando l'ambasciatore russo e attaccandosi al filo diretto per un esasperante e buffissimo dialogo con l'amico Premier, sbronzo in bordello sovietico. Ma il Falco non demorde, e attinge la sfera del sublime nel momento in cui realizza che un suo aereo sta volando indisturbato verso la mèta: con quale brio, allora, ne mima le evoluzioni fatali!
Quanto al comandante del B-52 (che il trasformista Sellers era già pronto a impersonare, cedendo poi il ruolo al caratterista western Slim Pickens), è un cowboy texano, intrattenibile rodomonte che inforca la bomba come un cavallo e, agitando il suo cappellaccio in segno di esultanza, si precipita sull'obbiettivo come nell'orgasmo più riuscito.

Consigliato: capolavoro, un must per i fan di Kubrick, un film che fa riflettere tutti.
Voto: 9,5

I Segreti di Brokeback Mountain

Se John Ford e Sergio Leone avessero assistito all'ultimo lavoro di Ang Lee sarebbero rimasti quantomeno stupiti. Se poi la sorpresa si fosse trasformata in senso dello scandalo ed incomprensione questo non possiamo certo affermarlo con certezza. Sta di fatto che la dissoluzione delle regole e degli stereotipi del "wild West" tanto combattuti e scardinati da Lee, colloca Brokeback Mountain al di fuori del genere specifico, inaugurando un'era nella quale agli eroi quotidiani è finalmente permesso scrollarsi da dosso la polvere di un rodeo conquistando il privilegio di avere un cuore. Tratteggiata con particolare sensibilità e delicatezza, la vicenda si arricchisce di una paesaggistica naturale che accoglie e protegge e che, fotografata con luminosità e nel pieno rispetto della sua vastità, diviene palcoscenico dove naturale scorre il flusso della vita ed ancor più drammaticamente onesto diviene l'amore tra due uomini. Certo sarebbe molto semplice concentrarsi esclusivamente sulla problematica omosessuale, che comunque ha la sua valenza vista la preoccupante ondata omofobica che sta invadendo sempre di più gli Stati Uniti, ma ciò che conta realmente è lasciarsi andare alla naturalezza degli eventi, comprendendo quanto l'amore possa e debba rivestire un significato universale.
Ang Lee ci ha da sempre abituati ad un cambiamento continuo, ad una variazione costante e dettagliata di ambienti e situazioni all'interno del suo cinema, ma Brokeback Mountain rappresenta qualche cosa di veramente inaspettato. Uno stupore che non viene alimentato tanto dalla tematica, ma da una visione pulita e totalmente priva di giudizi. Nella società moderna la televisione e il cinema hanno cominciato ad affannarsi per inquadrare in una sezione sociale la cosìddetta comunità gay, una attività volta a tranquillizzare gli animi, a far conoscere il "diverso" per poterlo controllare, catalogare e gestire. I gusti, le necessità e le abitudini sembrano diverse ma Ang Lee riesce ad andare oltre qualsiasi indagine sociale e di costume per aprire gli occhi di fronte alla vastità della passione che non sceglie e non grazia, per qualche oscuro motivo, esclusivamente l'eterosessualità. Certo ad un primo esame la vicenda potrebbe apparire scontata nella sua semplicità ma Jake Gyllenhaal e Heath Ledger sono i protagonisti di un classico melò dall'anima trasgressiva. Una modernità volta a sostenere il più tradizionale dei valori e a dimostrare come un bacio continui ad essere «Un apostrofo rosa tra le parole "ti amo"» indipendentemente da chi sia colui che lo dà e lo riceve.
Consigliato: eccome.
Voto: 8

The Millionaire

The Millionaire (Slumdog Millionaire) è una commedia drammatica girata in India e diretta da Danny Boyle, molto creativa, intelligente, emozionante e intrigante, che utilizza uno dei quiz show più famosi al mondo per raccontare domanda dopo domanda la storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza, ma più in generale la storia di una nazione in pieno sviluppo, l’India, che tra tradizioni e modernità vive di contraddizioni e di sogni.
E’ davvero difficile trovare un difetto in un film, che riesce a raccontare attraverso l’occhio di un occidentale la storia di un Paese, ancora diviso in caste, dove l’unico modo per evadere, per la maggior parte della popolazione è quello di guardare Chi vuol essere milionario e sognare di vincere: stilisticamente è quasi ineccepibile, con tutte le caratteristiche al punto giusto, dalla scelta delle inquadrature (specialmente all’inizio quando, con poche scene riesce a descrivere l’ambientazione del film, alternando riprese dall’alto a riprese da terra, primi piani a piani lunghi e lunghissimi) a quelle del montaggio (rallenty, rewind, campo e controcampo), dalla scelta degli attori (Dev Patel ha un’espressività fuori dal comune, ma lo stesso conduttore del quiz è meschino, antipatico e brillante al punto giusto) a quella dei titoli e delle didascalie (apprezzabile anche il balletto finale in omaggio a Bollywood).
Una menzione speciale merita la storia: l’escamotage di usare i flash back per narrarla è azzeccata ed utile al fine e riesce a conferire particolare importanza alle storie secondarie (quella di Salim, che diventa braccio destro del boss, quella di Latika, donna oggetto per tutti, ma non per Jamal, quelle del gruppo di bambini cresciuti in mezzo alla strada e quelle dei malviventi, che sfruttano la povertà e l’ignoranza della popolazione).
Un gran bel film che sicuramente resterà per sempre nella storia del cinema indiano.

Consigliato: eccome.
Voto: 8

Edward mani di forbice

La neve cade copiosa dal nero cielo notturno, e nel caldo casalingo una tenera bambina, sprofondata in uno sproporzionato lettone, chiede alla nonna il perché la neve cada. Comincia così, con una atmosfera fiabesca, il racconto della donna di una triste storia, magica per certi versi, ma tremendamente reale per altri.
Tutto ha inizio quando un vecchio inventore (Vincent Price), alle prese con macchine esageratamente complesse atte a rompere un uovo o cuocere dei biscotti, decide che sia giunto il momento per gettarsi in progetti più ambiziosi: è così che crea un uomo in carne ed ossa, con un suo cervello, un suo cuore, una sua anima. Un uomo completo di tutto, eccetto che delle proprie mani. La morte improvvisa ha infatti colto l’inventore un attimo prima che egli dotasse la sua creatura di veri e propri arti, lasciandolo così con due curiosi bouquet di lame. Di forbici, per la precisione.
Edward, è questo il nome che gli fu dato, rimane da solo, chiuso in un tetro castello gotico ai piedi del quale sorgeva un classico e piatto quartiere suburbano, uguale a centomila altri. Ma giunge infine il giorno in cui Edward abbandonò la sua isolata e solitaria residenza.
Peg (Dianne Wiest), una venditrice porta a porta di cosmetici Avon, alla disperata ricerca di clienti, si spinge oltre le inviolate colonne d’Ercole che cingono il castello e vi entra. L’impatto con l’impacciato e timidissimo Edward non è semplice per nessuno dei due, ma forte del suo buon cuore e della convinzione che il mondo necessiti di più altruismo, Peg salva Edward dalla solitudine e lo invita a vivere nella sua casa.
La vita in provincia, dove l’omologazione al prossimo è la virtù prima, per Edward, emblema del Diverso con quelle sue assurde mani armate, non sarà mai facile. La reazione della comunità nei confronti del curioso nuovo venuto non tarda a palesarsi: tutti infatti vogliono conoscere l’uomo con le mani di forbici, ed approfittare delle sue straordinarie abilità. Edward, infatti, si rivela un formidabile parrucchiere, potatore, tosatore. Egli eccelle in qualunque attività in cui possa sfruttare l’innata manualità con le lame e dimostrare la sua immensa creatività. Già alle prime inevitabili incomprensioni però, si evidenzia subito come le masse siano allergiche alla diversità: si comincia col dubitare, si passa al diffidare, si finisce con l’isolare. L’ostracismo è la soluzione definitiva.
Assolutamente funzionale ai bisogni tematici, la scenografia ha rappresentato un punto focale per Tim Burton: da semplice sfondo, tutti gli elementi che in altre produzioni fanno solo da contorno all’atmosfera, qui prendono vita e trasmettono messaggi: ampie strade desertiche, giardini totalmente spogli, residenze tutte uguali color pastello sgargiante, finestre piccolissime (scelta stilistica per suggerire un senso di paranoia). Burton ha dato vita ad un piccolo mondo atemporale ed aspaziale, quasi finto nella sua estremizzazione del qualunquismo di massa. Tutto è uguale a se stesso, e nulla è fuori dalle righe. L’unico neo in questa apatica ed omogenea comunità è Edward. Antidoto alla piattezza, le sue siepi scultoree sono opere d’arte che colorano un disegno altrimenti grigio. Per la città passeggiano cani da lui tosati, che rendono orgogliosi i loro padroni da lui pettinati. Edward è una creatura visionaria: eclettica, timida, quando può dare sfogo alla sua creatività si trasforma in un grande artista. Gli utensili della sua arte sono le ambivalenti forbici: armi da un lato, taglienti e distruttive, si trasformano nel più dolce pennello nelle mani di un anacronistico pittore. Edward rappresenta il genio, spesso incompreso dai più. Colui che va controcorrente seguendo la sua strada, e con essa si allontana fra gli sguardi indifferenti e un po’ stupiti della gente comune.
Edward mani di forbice rappresenta anche un’opera autobiografica. Tim Burton ha spesso affermato come da piccolo abbia avuto molti problemi a farsi delle amicizie, soprattutto a causa di una certa incomunicabilità con gli altri bambini. Era come se tutti lo evitassero, si sentiva diverso ed isolato. E da ciò nasce il personaggio di Edward, un timido uomo incapace di avvicinare altre persone senza rischiare di far loro del male, ma al tempo stesso dotato di un grande animo, e una grandissima voglia di amare.
Grande interpretazione dell’intero cast, fra i quali poi spiccano il grande amico di Tim Burton, Johnny Depp, che interpreta un trasognato Edward, con quel suo perenne sguardo intimorito come se si trovasse catapultato in una realtà che non gli compete, e la bravissima Dianne Wiest, già vincitrice di due statuette d’oro agli Academy Awards, la cui interpretazione dell’esteta Peg è assolutamente impeccabile.
Senza dubbio il capolavoro più riuscito di quel geniale regista che è Tim Burton.
Stupendo.

Consigliato: consigliatissimo.
Voto: 9

Oscar 2009: I vincitori

Si è conclusa l'attesissima Notte degli Oscar 2009, che non ha riservato particolari sorprese: è stato The Millionaire di Danny Boyle a conquistare i premi più ambiti. Ben otto le statuette che il film porta a casa: miglior film, regia, sceneggiatura non originale, fotografia, montaggio, canzone, suono, colonna sonora. La pellicola ha battuto dunque Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher, che pure aveva fatto incetta di nomination (tredici), e che comunque vince premi tecnici, come scenografia e trucco.

Nella categoria miglior attore e migliore attrice hanno trionfato rispettivamente Sean Penn (Milk) e Kate Winslet (The Reader). Mentre è stato assegnato allo scomparso Heath Ledger l’Oscar per il migliore attore non protagonista. La migliore attrice non protagonista è risultata Penelope Cruz (Vicky Cristina Barcellona).



Eccovi tutti i vincitori degli Oscar 2009:


Miglior film: The Millionaire

Miglior regia: Danny Boyle (The Millionaire)

Miglior attore protagonista: Sean Penn (Milk)

Miglior attrice protagonista:Kate Winslet (The Reader)

Miglior attore non protagonista: Heath Ledger (Il Cavaliere Oscuro)

Miglior attrice non protagonista: Penelope Cruz (Vicky Cristina Barcellona)

Miglior sceneggiatura originale: Dustin Lance Black (Milk).

Miglior sceneggiatura non originale: Simon Beaufoy (The Millionaire)

Miglior Fotografia:Anthony Dod Mantle (The Millionaire)

Miglior Montaggio:Chris Dickens (The Millionaire)

Miglior Colonna sonora: A.R. Rahman (The Millionaire)

Miglior Canzone Originale: “Jai Ho” — The Millionaire, A.R. Rahman, Gulzar

Miglior film d’animazione: Wall-E

Miglior Scenografia: Donald Graham Burt, Victor J. Zolfo (Il Curioso Caso di Benjamin Button)

Migliori Costumi: Michael O’Connor (La Duchessa)

Migliore Make up: Greg Cannom (Il Curioso Caso di Benjamin Button)

Migliori Effetti speciali: Eric Barba, Steve Preeg, Burt Dalton and Craig Barron (Il Curioso Caso di Benjamin Button)

Miglior Montaggio effetti sonori: Il Cavaliere Oscuro — Richard King (Il Cavaliere Oscuro)

Miglior Sonoro: Ian Tapp, Richard Pryke and Resul Pookutty (The Millionaire).

Miglior film straniero: Departures (Giappone)

Miglior Cortometraggio d’animazione: La Maison en Petits Cubes, A Robot Communications Production, Kunio Kato

Miglior Documentario: Man on Wire (Magnolia Pictures), A Wall to Wall Production, James Marsh and Simon Chinn

Milgior Cortometraggio: Spielzeugland (Toyland) — A Mephisto Film Production, Jochen Alexander Freydank

Miglior Corto documentaristico: Smile Pinki — A Principe Production, Megan Mylan

Sweeney Todd

All'origine di un film di Tim Burton c'è quasi sempre un disegno. Questo disegno è spesso la raffigurazione di un personaggio che è insieme creativo e distruttivo e che ha bisogno per agire di protesi meccaniche o di oggetti che alterano la sua capacità fisica. Se le mani di forbice di Edward sono l'esteriorizzazione simbolica della sua incapacità interiore di toccare, se gli occhiali di Ichabod esprimono il tentativo di un razionalista di 'vedere meglio' un avversario senza testa, i rasoi di Sweeney Todd sono "gadget da guerra" mutuati da Batman per vendicare la perdita delle persone amate. Come l'eroe pipistrello di Bob Kane, il barbiere gotico di un anonimo autore inglese (probabilmente più di uno) indossa una "maschera" e ha una personalità divisa, dissociazione risolta con l'espediente della duplice identità: Batman/Wayne, Todd/Barker. Diversamente dal mostruoso e incolore personaggio letterario, assassino senza ragione, il protagonista di Burton è prossimo al barbiere musicale di Stephen Sondheim. Sweeney Todd si muove alla volta di Londra introdotto, anticipato e avvolto dalla musica, da un'aria che disegna il paesaggio acustico della sua anima, desiderosa di esorcizzare la realtà tragica attraverso il canto.
Sweeney Todd è un musical ma non si esaurisce nel musical. La sua dimensione musicale non è sovrimposta forzatamente alla storia ma come nell'opera è costitutivamente innestata nel protagonista, dal quale si dipana una linea melodica struggente, un requiem che spaventa perché carico di sventure e presagi. Il diabolico barbiere di Fleet Street nasce dal buio melodrammatico di un ouverture e a quel buio ritorna, cercando, e finendo sempre per perderla, la conciliazione con il dolore. Il mostro consapevole della propria origine è interpretato dal pallore sagomato di Johnny Depp nel quale convivono, senza risolversi, l'anima diurna e quella notturna. Il suo Figaro sanguinario è una combinazione di oscurità e luce, un dandy malinconico e risentito che cerca ostinatamente di vendicarsi, finendo per trasformarsi in un'omicida psicopatico quanto il suo irriducibile nemico, senza il quale, del resto, non esisterebbe.

La Londra tenebrosa e vittoriana di Dante Ferretti è il riflesso architettonico del protagonista, è una città deliberatamente artificiale, ricostruita in studio e sprofondata nel nero fotografico di Dariusz Wolski. Se Batman è il guardiano dell'ordine civile, che veglia sulla sua città, Sweeney Todd è un disadattato che produce caos e violenza, spargendo sangue senza risparmio nella bottega di Fleet Street. In Sweeney Todd c'è tutto Burton: c'è la fatale attrazione verso quanto di più oscuro, malato e innominabile rende il mondo più affascinante di una fiaba. C'è la cartoonizzazione della messa in scena, la stilizzazione espressionistica e la deformazione grottesca, c'è lo stupore e l'insensatezza, il terrore e il cattivo odore della civiltà e del mondo degli adulti, ancora una volta contrapposto a quello dei fanciulli, c'è la vertigine e la violenta epifania. C'è la maschera di Johnny Depp, che invece di azzerare la performance dell'attore "messo in musica", libera il suo talento interpretativo: famelico, pericoloso e selvaggio. Un attore totale che non lascia mai nulla inespresso, anche se doloroso, anche se incolmabile.
Maestoso.

Consigliato: eccome.
Voto: 8,5

Lasciami entrare

Una geniale, bellissima e ben riuscita deviazione all'horror tradizionale.
Il silenzio assordante e l'oscurità del gelido, immacolato inverno svedese con le sue pianure imbiancate offrono lo scenario ideale per questo soft horror romantico. Adattando per il cinema il romanzo semi-autobiografico di John Ajvide Lindqvist (autore tral'altro della sceneggiatura), il regista svedese sceglie di toglierne alcune parti in favore della candida storia d'amore tra Oskar ed Eli. Lui sembra quasi voler saltare a piè pari la fanciullezza e contare i mesi e i giorni di un'età troppo fragile per poter affrontare il mondo. Lei, corpo infantile e asessuato, è condannata alle tenebre e a uccidere per rimanere in vita. Costretti alla solitudine per ragioni diverse e vittime di una società silente che li ha abbandonati a se se stessi, i due bambini si confidano e sostengono trovando un modo per comunicare al di là della parola. La periferia di Stoccolma, ritratta con realismo e puntualità, appare ancora più piccola, monotona e isolata grazie allo sguardo di Alfredson che si rivela abilissimo nel fotografare la provincia attraverso gli usi e i costumi di una manciata di personaggi secondari - alcolizzati nullafacenti, gattari e piccoli bulli - pur tenendo le camere puntate sull'infanzia. Declinando l'horror e scegliendo di non soffermarsi su dettagli sanguinosi (pur essendo il sangue uno dei temi principali), Alfredson mostra una delicatezza poco comune al cinema di genere trovando anche nella musica una formula per sottolineare il romanticismo piuttosto che incalzare la suspense. Aperto a innumerevoli chiavi di lettura, Lasciami entrare è un film che rispetta la tradizione orale vampiresca e ridefinisce la figura del vampiro contemporaneo, come già aveva fatto Twilight, lasciando in sospeso un finale vagamente onirico che corre sui binari di un treno lanciato verso il futuro: CONSIGLIATISSIMO.

Consigliato: da vedere per gli appassionati dell'horror.
Voto:7,5

Australia

Australia, 1939. Sarah Ashley, un'aristocratica inglese, lascia Londra alla volta di Darwin, decisa a ricondurre a casa e al talamo coniugale il proprio consorte. Scortata da un mandriano brusco e attaccabrighe alla tenuta di Faraway Downs, Sarah scopre con sgomento la morte di Lord Ashley e la crisi in cui versa il ranch. L'incontro con una terra orgogliosa e selvaggia e l'affetto per Nullah, un orfano nato da madre aborigena e padre inglese, la convincono a restare e a risollevare le sorti della proprietà. Con l'aiuto di un mandriano innamorato (e ricambiato), di un contabile ubriaco, di un misterioso stregone e di un piccolo meticcio, Sarah condurrà la propria mandria a destinazione attraverso un territorio impervio, vincerà una concorrenza sleale, sopravvivrà a un attacco aereo giapponese e vivrà una spettacolare favola d'amore.
Che dire? Semplicemente bellissimo. Un grande, profondo, meraviglioso kolossal, capace di travolgere letteralmente lo spettatore, facendolo rimanere incollato alla poltrona per tutte le 2 ore e 45 minuti. Un misto di avventura, amore, dramma e magia con lo sfondo di paesaggi a dir poco mozzafiato. Bravissimi i due attori principali, Nicole Kidman, che si riafferma come una delle attrici migliori del mondo, e Hugh Jackman, perfetto nella sua parte di rude mandriano. Molto bravo anche Brandon Walters, che al suo primo debutto cinematografico, nei panni del bambino aborigeno Nullah dimostra una grande capacità espressiva.
Assolutamente spettacolare, poi, è la scena in cui Nullah riesce a fermare una mandria di 2000 capi di bestiame che sembravano ormai destinati a cadere dal precipizio.
Insomma, l'intrattenimento è assicurato, peccato solo per lo scarso riscontro al botteghino che ha deluso di gran lunga le aspettative (nonostante l'uscita mondiale, si parla ancora di "rientrare nelle spese").
In giro ho letto che "Australia" diventerà probabilmente uno di quei film che ci vengono propinati almeno una volta all'anno in tv e farà il suo bell'ascolto in prima serata, seguito da un pubblico che nel frattempo ha altro da fare (preparare cene, discutere di questioni familiari). Spero che non sarà così, soprattutto perché l'Australia avrà difficilmente una così ricca seconda occasione. E bravo Baz Luhrmann.

Consigliato: si
Voto: 8

Sette Anime



Tim Thomas (Will Smith), brillante ingegnere aerospaziale, dopo essere stato causa di un dramma che ha coinvolto sette persone fra cui la moglie, decide di compiere un cammino di redenzione che cambierà per sempre la vita a sette sconosciuti: ma prima di entrare nella loro esistenza con il dono più grande, la vita, vuole verificare, osservandoli, se meritino davvero il suo sacrificio.
Rubando il tesserino di Agente del Fisco del fratello Ben, ne prende in prestito l'identità e si spaccia per esattore, al fine di entrare più facilmente in contatto con i suoi "osservati speciali". Il protagonista però si innamorerà di uno di questi, una donna cardiopatica (Rosario Dawson) che ha urgente bisogno del trapianto del cuore per sopravvivere. Questo imprevisto non cambierà il suo intento iniziale di donare la propria vita (e con essa i suoi organi) alle "sette anime" ma renderà il suo gesto estremo ancora più drammatico. Si ucciderà in un motel utilizzando una medusa mortalmente velenosa stremato dal suo rimorso e dal desiderio di donare ad altri ciò che ad altri ha tolto.
Will Smith torna a collaborare con Muccino dopo il successo de La ricerca della felicità, il risultato è un bellissimo film, arricchito ancora una volta dalla splendida interpretazione di Will.
A differenza di quanto hanno detto i critici in merito a Sette Anime", devo dire che sono uscito dalla sala davvero soddisfatto.
Buona la regia e assolutamente perfetti i due attori principali: Will Smith, che riesce sempre a dare al pubblico quel qualcosa in più che lo distingue dagli altri attori, e Rosario Dawson, che si presenta sopra le aspettative, calandosi perfettamente nell'aspetto drammatico del film.
Molto dolce la scena del ballo tra i due, e bellissima anche una delle scene finali, nella quale Tim Thomas si fa pungere dalla medusa nella vasca da bagno, concludendo finalmente il suo piano.
Un film dal mio punto di vista sottovalutato, che invece merita molto di più.

Consigliato: si
Voto: 7

Gomorra escluso dagli Oscar. Una grandissima delusione.

Non ce l'ha fatta "Gomorra", la pellicola italiana che aveva vinto un importante premio a Cannes, a rientrare nella classifica per le nomination agli Oscar. "Gomorra", il film del regista Matteo Garrone sulla camorra, nominato ai Golden Globe, aveva vinto infatti il Grand Prix al Festival di Cannes ed era il candidato italiano per l'Oscar. «Di questa cosa non parlo», è l'unica cosa che ha detto Garrone. Davvero un grande peccato.

E' entrata invece nella classifica dei concorrenti ad una nomination agli Oscar come film straniero la pellicola francese "La Classe", ambientata in una scuola superiore parigina, già vincitrice della Palma d'oro a Cannes.

"Valzer con Bashir" è stato nominato miglior film straniero domenica ai Golden Globe, che sono spesso precursori della vittoria di un Oscar, ed è stato inserito nella classifica per le nomination agli Oscar. ll film, che parla della guerra del 1982 tra Israele e Libano ed è diretto dal regista Ari Folman, è stato scelto dalla National Society of Film Critics, con sede negli Usa, come miglior film del 2008, ed è stato definito un 'documentario animato' che combina interviste audio e animazione.

Gli altri film stranieri in lista per la nomination agli Oscar sono: "Revanche" (Austria), "The Necessities of Life" (Canada), "The Baader Meinhof Complex" (Germania), "Departures" (Giappone), "Tear This Heart Out" (Messico), "Everlasting Moments" (Svezia) e "3 Monkeys" (Turchia).

I nove film, scelti tra 65 candidati, sono stati selezionati da centinaia di membri dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences e da una commissione esecutiva dell'organizzazione. La lista sarà ristretta a cinque da una commissione selezionata a New York e Los Angeles, e i candidati finali per la categoria dei film stranieri saranno annunciati il 22 di gennaio.

Golden Globes 2009

Sono stati assegnati nel corso della notte, durante una cerimonia di gala che si è svolta al Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills, i premi della 66a edizione dei Golden Globes Awards.

Da segnalare subito la grande delusione per l’italiano “Gomorra”, il film di Matteo Garrone premiatissimo a Cannes e non solo, che tra i film stranieri è stato battuto dall’animato “Valzer con Bashir” di Ari Folman. Tra i premi assegnati sono state rispettate per lo più le previsioni della vigilia: “The Millionaire” di Danny Boyle ha sbancato vincendo quattro premi (miglior film, regia, sceneggiatura e colonna sonora). Riconoscimento postumo come miglior attore non protagonista a Heath Ledger per “Il Cavaliere Oscuro”, e premio per Mickey Rourke del film “The Wrestler”(già Leone d’oro a Venezia 2008). Meritatissimo il premio come miglior film d'animazione per Wall-E. Un inaspettato doppio premio per Kate Winslet: come miglior attrice protagonista per “Revolutionary Road”, e anche come attrice non protagonista per il controverso “The Reader”.

Qui di seguito trovate la lista completa dei vincitori:


  • Miglior Film - drammatico: The Millionaire
  • Miglior Attrice protagonista - drammatico: Kate Winslet, Revolutionary Road
  • Miglior Attore protagonista - drammatico: Mickey Rourke, The Wrestler
  • Miglior Attore protagonista- musicale/commedia: Colin Farrell, In Bruges
  • Miglior Attrice protagonista- musicale/commedia: Sally Hawkins, Happy-Go-Lucky
  • Miglior Commedia: Vicky Cristina Barcelona
  • Miglior attore non protagonista: Heath Ledger, The Dark Night
  • Miglior attrice non protagonista: Kate Winslet, The Reader
  • Miglior film di animazione: WALL-E
  • Miglior film in lingua straniera: Valzer con Bashir
  • Miglior Regista: Danny Boyle, The Millionaire
  • Miglior Sceneggiatura: Simon Beaufoy, The Millionaire
  • Miglior colonna sonora originale: R. Rahman, The Millionaire
  • Miglior canzone originale: Bruce Springsteen, The Wrestler, da “The Wrestler”

Neverland - Un sogno per la vita

Titolo originale: Finding Neverland
Lingua originale: inglese
Paese: USA
Anno: 2004
Durata: 101'
Colore: colore
Genere: drammatico, biografico
Regia: Marc Forster
Soggetto: Allan Knee
Sceneggiatura: David Magee
Cast: Johnny Depp, Kate Winslet, Dustin Hoffman, Julie Christie, Nick Roud, Radha Mitchell, Joe Prospero, Freddie Highmore




James Matthew Barrie è uno stimato autore teatrale, ma le sue commedie mancano di qualcosa, e non riscuotono successo nell'ambiente aristocratico londinese. Charles Frohman, il produttore dei suoi spettacoli è disperato, e continua a chiedergli nuovi copioni.
Un giorno, seduto su una panchina al parco con il proprio cane a scrivere, conosce per caso Sylvia Llewelyn Davies ed i suoi quattro figli. Nasce in questo modo un grande amore per i quattro bambini, con i quali comincia a passare le sue giornate, a giocare e a farli divertire, offrendogli addirittura il proprio cottage fuori città e arrivando addirittura a sacrificare il proprio matrimonio.
Dei quattro bambini uno, Peter, è taciturno e ride raramente, avendo subito in maniera molto forte lo shock della perdita del padre. James lo incita a scrivere, a sfogarsi inventando storie sulla propria famiglia, e a poco a poco si trova lui stesso ad immaginare una favola fantastica sui quattro fratelli.
Il risultato è Peter Pan, una commedia che, nonostante le previsioni ed i timori di Frohman, riesce a smuovere l'animo del grigio pubblico teatrale, tra i quali Barrie fa sedere anche 25 orfani.

James Barrie, se potesse parlare del film di cui è protagonista, parafrasando una citazione dalla sceneggiatura, potrebbe dire con leggerezza e convinzione: "in fondo questa storia è solo la storia della mia vita, e questo film è solo uno dei tanti. SOLO. Cosa vuol dire solo... ".
Solo per un sognatore non ha alcun significato, perché è un termine limitato, che non lascia spazio alle idee, alla fantasia. I sogni sono l'essenza della vita per Barrie e lo sono per buona parte di noi. Ed è proprio questa la premessa che è necessario fare per vedere un film come Neverland. La divisione fra ragione e sentimento, creatività e razionalità, genio e regolatezza.
Neverland è semplicemente la vita di un uomo che non ha mai perso il desiderio di rimanere bambino. La sceneggiatura, adattata da David Magee sulla base di una commedia teatrale di grande successo, è la vera forza del film. La regia di Marc Forster, infatti, non è mai convincente, e non riesce a trasmettere in pieno, secondo me, la forza contenuta nei momenti fantastici. Ma fortunatamente le parole e le emozioni riescono a scorrere anche da sole. Le stesse vissute da Johnny Depp che vive il suo personaggio allo stesso modo con cui sceglie gli script da interpretare. Barrie è un personaggio dei suoi, con lo sguardo perso nel cielo e un'infinita sensibilità (per molti sono interpretazioni tutte uguali, ma quanti si possono permettere di scegliere ruoli coerenti con se stessi?).
Sei un sognatore? Questo è il flm per te. Sei razionale e poco amante delle favole? Forse questo film non fa per te, anche se volare ogni tanto è un piacere per tutti.

Voto: 7

Il Petroliere

Titolo originale: There Will Be Blood
Paese: USA
Anno: 2007
Durata: 158'
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: drammatico
Regia: Paul Thomas Anderson
Soggetto: Upton Sinclair
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Casa di produzione: Paramount Vantage
Cast: Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Dillon Freasier, Kevin J. O'Connor, Ciarán Hinds, David Willis, Mary Elizabeth Barrett



Siamo in California, agli inizi del '900: Daniel Plainview, un cercatore d'oro, si rende improvvisamente conto che alla base del futuro c'è il petrolio e così inizia la sua carriera in quel ramo. Acquistata con l'inganno per poche migliaia di dollari una proprietà situata proprio sopra un ricco giacimento, comincia a fare fortuna, ma il destino gli riserverà una vita molto tormentata. Il merito della riuscita di "There will be blood", uno dei migliori film di una stagione ricca di sorprese, stà in una pluralità di fattori: la regia (semplice, essenziale, ma capace di proporre scene di grandissimo impatto visivo) di Paul Thomas Anderson; il coinvolgente commento musicale di Johnny Greenwood e la grande interpretazione del cast. Grandissimo è poi il merito di Daniel Day Lewis: il suo Daniel Plainview è un personaggio unico, fuori degli schemi, un'icona senza tempo. A suo modo, Plainview rappresenta benissimo il lato cinico e detestabile dell'America: quella che non guarda in faccia a nessuno pur di ottenere quello che vuole, che sfrutta l'ignoranza e le debolezze degli altri per raggiungere i propri obiettivi, che ha come unico scopo il profitto e il potere. La scalata del petroliere è quella di un uomo dagli occhi di brace, con i cappelli bisunti e il volto seminascosto dai baffi, che mentre ti tende la mano, con l'altra ti pugnala alla schiena. Ed è meritevolmente che Daniel Day Lewis, mette le mani sull'Oscar. Lewis compie una vera e propria metamorfosi durante il film, aggiungendo il proprio immenso talento ad un personaggio già di per sé interessante. Da non sottovalutare, inoltre, è la performance del bravissimo Paul Dano (il figlio muto di "Little Miss Sunshine") che dà vita ad un giovane predicatore che si oppone, con furore mistico, agli affari di Plainview e si dimostra alla sua altezza in ogni occasione. Basato sul romanzo "Oil!" di Upton Sinclair, datato 1927, "There Will Be Blood" copre trent'anni di storia ma l'ossessione incarnata da Daniel Plainview per il potere e il successo è drammaticamente attuale: cambia lo scenario e il punto da indicare sulla mappa, ma la dipendenza, l'ossessione quasi, che gli Stati Uniti hanno nei confronti dell'oro nero, in un secolo non è affatto cambiata. Anderson sfrutta la storia e i protagonisti per lanciare messaggi, indizi, proporre idee, mostrare metafore, ma mantenendosi a debita distanza dalla facile morale. Il feroce contrasto tra denaro e Chiesa, incarnati dai due protagonisti si risolve con un nulla di fatto: non c'è speranza, non ci sono affetti, solo avidità e follia. L'unica nota stonata di questo altrimenti meraviglioso film è il titolo scelto per l'edizione italiana, "Il Petroliere", che non regge il confronto con l'epicità di quello originale.

Voto: 8,5

Il figlio di Travolta trovato morto per colpo apoplettico

Jett Travolta sarebbe morto a causa di un colpo apoplettico. E' quanto emerge dall'autopsia condotta sul corpo del figlio 16enne dell'attore americano, che non mostrerebbe alcun segno di trauma alla testa, smentendo le prime indicazioni secondo cui Jett sarebbe morto dopo aver sbattuto la testa contro la vasca da bagno. Lo scrive il sito Internet "E!Online", che cita fonti delle autorita' delle Bahamas, secondo cui il corpo del ragazzo dovrebbe essere riconsegnato oggi alla famiglia, che intende cremarlo. Jett Travolta(che, secondo quanto raccontato da John Travolta e dalla moglie Kelly Preston, soffriva della sindrome di Kawasaki, una rara malattia dei vasi sanguigni) era stato trovato morto venerdi' scorso nel bagno del resort alle Bahamas dove stava trascorrendo le vacanze con la famiglia. "Abbiamo il cuore a pezzi", avevano detto ieri in un comunicato i due attori, che hanno un'altra figlia, Elle Bleu, di otto anni. Jett, in passato, era stato vittima di una serie di attacchi epilettici.

New York, 6/1/2009

Ultimatum Alla Terra (2008)

L'alieno Klaatu è arrivato sulla Terra per portare un messaggio all'umanità. E' questo il tema di fondo di "Ultimatum alla Terra", il nuovo remake dell'omonimo film del 1951. La celebre scienziata Helen Benson si ritrova faccia a faccia con un alieno chiamato Klaatu, che ha viaggiato nell’universo per avvertire l’umanità di un’imminente crisi globale. Quando delle forze che sfuggono al controllo di Helen ritengono ostile l’extraterrestre e gli negano la possibilità di parlare ai leader del mondo come aveva richiesto, lei e il figliastro Jacob, con cui è in cattivi rapporti, scoprono rapidamente le conseguenze fatali della frase di Klaatu, che si reputa “un amico della Terra”. Ora Helen deve trovare un modo di convincere l'alieno (il quale, oltre al compito di tentare di parlare alle autorità più importanti del pianeta, aveva anche il compito di sterminare l'intera umanità in caso non lo ascoltassero) che l’umanità in realtà merita di essere salvata. Ma potrebbe anche essere troppo tardi. Il processo di sterminio ha già avuto inizio.
Dopo questo piccolo riassunto tanti potrebbero pensare tra di loro: "Deve essere un bel film!", condizionati soprattutto dal fatto che si tratta di un film sugli alieni.
Prima di andare al cinema a vedere "Ultimatum alla Terra", conoscendo già l'originale avevo grandi aspettative. Ma uscito dalla sala non sono rimasto per niente soddisfatto, neanche Keanu Reeves riesce a salvarsi da questa catastrofe. Noioso, scontato, prevedibile e superficiale, anche il riferimento ad una più profonda riflessione è invece appena sfiorato. Oltretutto fa promozione alla Microsoft e a McDonald in una maniera a dir poco esagerata.
Incredibile poi, nella prima parte del film, come tutti i congegni della polizia fossero già pronti e i riflettori si trovassero già intorno alla sfera appena atterrata: se mancava solo poco più di un'ora all'impatto come potevano essersi organizzati così velocemente? E poi tutti credevano che ci sarebbe stato un impatto, quindi perchè la polizia avrebbe dovuto mettere dei riflettori (tra l'altro esattamente intorno alla sfera)? L'unica cosa che si salva sono gli effetti speciali. Molto bella la scena in cui quella specie di polvere di cui era composto il robot gigante "inghiottisce" il camion.
Ma sostanzialmente "Ultimatum alla Terra" è molto deludente. Molto meglio, a questo punto, rispolverarsi l'originale del 1951.

Consigliato: no, molto meglio l'originale
Voto:4,5

Classifica dei migliori film del 2008

1 Into the wild - Sean Penn

Il film che mi ha trasmesso più emozioni, che è stato capace di trasportarmi in un mondo a parte e farmi provare quella sensazione di libertà estrema. Assolutamente meraviglioso.




2 Sweeney Todd, The Demon Barber of Fleet Street - Tim Burton

Pur non predilendo i musical, "Sweeney Todd" è riuscito a guadagnarsi il 2° posto sul mio podio. Sarà per le musiche a dir poco fantastiche, o per l' incredibile capacità espressiva di due grandissimi attori come Johnny Depp e Helena Bonham Carter, ma credo che questo film segnerà per sempre la storia del genere.


3 Wall-E - Andrew Stanton

La Pixar riesce ormai a stupire sempre di più. Questa volta lo fa con Wall-E, il tenero robottino già diventato famoso. Anche questo un film che segnerà per sempre il genere.




4 Gomorra - Matteo Garrone

5 Il Petroliere - Paul Thomas Anderson

6 Il Cavaliere Oscuro - Christopher Nolan

7 The Orphanage - Juan Antonio Bayona

8 Non E' Un Paese per Vecchi - Ethan Coen e Joel Coen

9 Changeling - Clint Eastwood

10 The millionaire - Danny Boyle

Classifiche dei migliori film per anno

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